I TRAPEZISTI DEL LAISSEZ FAIRE: dalle piroette di Piero Bernocchi al dies irae di Boris Johnson – di Gian Luigi Deiana

I TRAPEZISTI DEL LAISSEZ FAIRE: dalle piroette di Piero Bernocchi al dies irae di Boris Johnson

di Gian Luigi Deiana

 

I personaggi sopra citati sono presi quasi a caso, data la grande abbondanza di trapezisti del corona virus, ma non del tutto a caso: si tratta di due casi emblematici della metafisica del “laissez faire”, una dottrina, o un atteggiamento, consistente nel supporre che la soluzione migliore sta sempre nel lasciar andare le cose al loro libero corso.

Ciò comporta per principio la negazione di eventuali “stati di eccezione” sovrastanti la prassi consueta e le normali abitudini di confronto.

Questa disposizione di spirito, che detiene il privilegio di criticare come la peste ogni intervento sul corso delle cose anche in stato di emergenza, unisce in modo bizzarro sia dottrine politiche libertarie, sia dottrine politiche liberiste, sia dottrine religiose provvidenzialiste: il principio sotteso è “viviamo nel meno peggio tra i mondi possibili”: per questo il racconto del filosofo francese Voltaire intitolato “Candide”, riferito all’ecatombe di un disastroso terremoto avvenuto al suo tempo nella città di Lisbona, resta una diagnosi esemplare della pervasività e del danno provocati dalle  dottrine del laissez faire e dalle fissazioni negazioniste in genere.

 

Piero Bernocchi è il portavoce di una organizzazione storica della sinistra italiana, i Cobas della scuola (organizzazione plurale e per la verità ormai in parte configurata in realtà locali anche nettamente divergenti da quella nazionale).

In questo mese di emergenza conclamata egli ha esordito deridendo i primi timidi provvedimenti governativi sull’epidemia come un patetico caso di provincialismo italico (“la wuhang de noantri”), poi si è associato al coro di allarme sui pericoli per la democrazia conseguenti ai divieti e infine ha denunciato il decreto governativo di chiusura delle scuole come “delinquenziale”.

Ha esposto proiezioni statistiche secondo le quali la libera evoluzione dell’epidemia, se fosse lasciata al suo corso, seguirebbe un trend analogo a quello delle influenze conosciute e, al netto del numero dei decessi, comporterebbe il vantaggio di non provocare contraccolpi gravi sull’economia.

Gli aggiustamenti del tiro su questa tetragona certezza iniziale, conseguenti al trend esponenziale dei contagi, sono sopravvenuti su questo verbo seguendo piroette opportunistiche qui assolutamente trascurabili, come eloquenti ma trascurabili sono i silenziamenti improvvisi di un ben più celebre urlatore della libertà individuale sgangherata, l’inarrivabile Vittorio Sgarbi.

Ma come è noto i più efficaci teologi del laissez faire non sono i libertaristi de noantri, non lo sono nemmeno i provvidenzialisti luterani tedeschi, meno ancora i candidi teoreti francesi: sono invece, per disposizione connaturata e consequenzialità, i capitalisti puri e semplici della vecchia Inghilterra.

Eccoci quindi a Boris Johnson e alla stella polare dell’immunità di gregge: ciò che lascia stupefatti nel suo discorso alla nazione non è affatto il contenuto, per quanto spaventoso (cinquanta milioni di contagi e milioni di morti) ma la nonchalance con la quale queste cosine sono state dette, ed il ricorso alla più britannica e darwinistica delle sintesi possibili: immunità di gregge, ovvero sopravvivenza del più adatto.

So di avere giocato di trapezio anche io ponendo in relazione in questo ragionamento gli spericolati trapezismi del libertarismo individualistico e i cinici trapezismi del liberismo capitalistico: ma qui non vi è rete di protezione sotto i trapezi, non vi è per nessuno e quindi le fisse dottrinali di ciascuno, impaurite o minimali o catastrofiste che siano, devono rendere conto a tutti.

Ogni problema pratico impone tre compiti: una giusta impostazione concettuale (in capo a ogni comunicazione pubblica), una coerente traduzione in comportamenti (in capo alla condotta di ciascuno) e l’adozione di strumenti e organizzazione adeguati (in capo alle responsabilità di governo).

Partiamo dalla fine: il fatto che gli strumenti e l’organizzazione, che sono in capo al Governo, non siano adeguati, o che anche le condotte individuali siano inadempienti o azzardate, non costituisce in alcun caso un alibi per gli indirizzi concettuali.

Quindi dobbiamo insistere sul concetto, prima che su statistiche e paure.

Il concetto oggi non riguarda in sè il numero di contagi o il livello di letalità o la soglia di immunizzazione (interpretazione Boris Johnson) ma riguarda il fatto che, data l’elevata contagiosità e la conseguente drammaticità clinica in un certo numero di soggetti predisposti, anche in assoluto non elevatissimo, la drammaticità clinica impone il ricorso a mezzi di respirazione artificiale il cui numero è tragicamente insufficiente: il concetto è che non si può lasciar crepare la gente quando sta soffocando per mancanza di ossigeno.

La soluzione cinese è consistita nell’abbattere draconianamente il numero dei contagi e creare immediatamente nuova strumentazione di soccorso.

La soluzione italiana è concentrata sull’abbattimento del numero dei contagi ma allentando gli effetti draconiani.

Tuttavia questa soluzione non si sta mostrando in grado di intervenire sulla dotazione di soccorso, rendendo con ciò manifesto da un lato il rigidismo della produzione industriale e dall’altro il rischio di saturazione delle strutture sanitarie oggi in trincea, e reiterandone di conseguenza l’effetto panico.

La soluzione inglese, presa alla lettera, significherebbe invece non solo che chi muore muore e chi campa campa, ma che chi muore deve mettere in conto di morire male.

Morire male, questo è il capolavoro macabro della teologia del laissez faire e della sua traduzione liturgica nel capitalismo puro: che possano essere in funzione impianti sciistici o navi da crociera, e non si trovi il modo di fabbricare mascherine, allestire tende ospedaliere o reparti sanitari in caserme inutilizzate, assistere i senza casa, requisire reparti di ricovero privati, produrre macchine respiratorie o almeno avviarne la produzione per la prossima volta…

…la prossima volta.

 

Dies irae

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