La SOLUZIONE INIZIALE: gli oblii del giorno della memoria – di Gian Luigi Deiana

La SOLUZIONE INIZIALE:

gli oblii del giorno della memoria

di Gian Luigi Deiana

 

I calendari di questa contemporaneità abbondano di ecumeniche giornate di edificazione: giornate dell’infanzia e giornate della donna, giornate degli innamorati e giornate dei lavoratori ecc., quasi giusto che sia così, quasi. Dipende da che fiori vi possono nascere nel tempo.

Il giorno della memoria non è soltanto importante, è una ricorrenza carica di sacralità.

Questo comporta il rischio di una implicita scontatezza e di una sacrale ovvietà.

Invece, per entrarvi dentro, è letteralmente necessario uscirne fuori: uscire dalla gabbietta calendaristica e perdersi appena più in là.

Il giorno della memoria, in senso stretto, ricorda quel 27 gennaio del 1945 nel quale le prime avanguardie dell’armata rossa entrarono nel campo di sterminio di Auschwitz e vi scoprirono lo scempio: quello scempio è passato alla storia con la denominazione ebraica di Shoah, ovvero con la denominazione universale di olocausto.

Il significato di questi termini affonda nell’archetipo religioso del sacrificio ed è universalmente noto: ma che c’entra il sacrificio, che l’umile compie nel nome di Dio, con lo sterminio, che il superbo compie contro ogni pensabile divinità?

È evidente che tutta quella allucinante vicenda, di per sè nemmeno narrabile, ha trovato espressione proprio in un trascinamento paradossale della significazione linguistica: proprio il popolo del sacrificio, il popolo del monoteismo che agli albori della storia aveva ripudiato gli idoli, era diventato esso stesso l’animale sacrificale.

Questa spaventosa inversione, da soggetto sacrificante ad oggetto sacrificato, si è verificata quando il regime hitleriano ha deciso di intraprendere “la soluzione finale”.

La totalità (“olos” in lingua greca) in quanto totalità dello sterminio comporta letteralmente l’incenerimento di ogni vivo (“kaustos”, bruciare).

L’assassino e la vittima si incontrano in questa spaventosa significazione, far sparire i corpi col fuoco.

Anche senza entrare nelle etimologie, tutti nel giorno della memoria sappiamo più o meno tutto questo, e tutti portiamo il nostro sgomento alla soglia di comprensione della cosiddetta “soluzione finale”: ma disgraziatamente ci fermiamo qui, mentre è esattamente da qui che bisogna partire.

Oltrepassare la soglia dello sgomento, la soglia delle torrette e dei camini: in quanto “finale” questo orrido risultato non è comparso per un qualche perverso prodigio degli inferi, è stato invece l’esito di un processo integralmente e civilmente umano.

Un esito coerente, maturato nel tempo e variamente condiviso dalla pulsione di morte che convive con noi di soppiatto, a lungo, pronta per il suo momento.

Il suo momento è quando l’autocompiacimento del mio male si trova a suo agio nel malanimo di massa, e il malanimo di massa vede riflessa la propria immagine in una presenza fisica, personalizzata, onnipresente, urlata e bestemmiata del potere.

Quella e solo quella è “la soluzione iniziale”.

Non è necessario essere grandi geni della politica per capire che non vi può essere alcuna “soluzione finale” senza quel primo passo nell’inferno, la “soluzione iniziale”.

È comprensibile il fatto che poi, quanto alla memoria, solo la catastrofe terminale resti impressa con le sue immagini, i suoi luoghi e i suoi nomi.

Ma questo esito inebria inevitabilmente l’immaginario e ingabbia nelle sue icone di filo spinato la riflessione.

Fa quasi passare sotto traccia, come sia stato solo un aneddoto secondario, il fatto che l’intento della risoluzione totale fosse già ben chiaro fin dall’inizio, e che le ragioni di impedimento non derivarono mai da un qualche sussulto di carattere morale, costantemente impedito dal latrare dei cani, o anche solo da una semplice controindicazione di carattere politico: derivarono piuttosto da considerazioni di carattere tecnico, la laboriosità di organizzare i treni con requisiti di routine e  la tecnologia necessaria a dissolvere con una corrispondente celerità milioni di cadaveri.

La vera identità di tutto quel ventre, in cui la catastrofe è stata tanto a lungo tenuta in grembo, viene dimenticata, come ne viene offuscata la dimensione e la varietà.

La cognizione che il respingimento e il desiderio di disintegrazione non siano stati e non siano un’ esclusiva della paranoia tedesca, scompare dal discorso pubblico e si deposita tutt’al più come un’ombra, un generico retropensiero.

Eppure, solo per fare un esempio, le bande che nelle nostre domeniche inneggiano ai forni durante le partite di calcio e riportano di notte i simboli sui muri sono figlie di una concretissima rete di deportazioni e di campi di assassinio in opera allora, e di una visione del mondo mappata per razze, diritti di colonia, pratiche genocide e “spazi vitali”: la visione del mondo connaturata, in nuce, ad ogni tipo di imperialismo.

Entrare nel giorno della memoria significa attraversarlo, per uscirne dall’altro lato: capire come tutto è iniziato, e chi e come, allora e oggi, può dirsi senza peccato.

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