SPERA EBBASTA (una lezione fuori programma)

sono passati dei giorni dalla vicenda della discoteca di corinaldo e i morti, come sempre, vanno dove vengono portati; che davvero essi possano trovare una qualche pace dipende dal monito che ne possono trarre i vivi;

dopo aver potuto assistere allibiti alle immagini del crollo della struttura, sta capitando a tutti, ora, di tastare con mano la qualità dello spettacolo che vi era ospitato;

e dunque, come sempre succede quando ci si trova a restare sconcerati per ‘due’ ragioni, inevitabilmente esse si sommano nell’animo prima che ne sia chiaro un plausibile fondamento logico comune;

la prima ragione riguarda la gestione illegale della struttura, ovvero l’emissione truffaldina dei biglietti, il numero doppio di presenze e l’approssimazione sulla sicurezza; su questa prima ragione, materiale e giuridica, praticamente si è tutti d’accordo, salvo tacersi sulla domanda se lo standard corinaldo sia un’eccezione o sia diventato la regola; io suppongo, pensando agli stadi o alle privatizzazioni illegali di spiagge, che sia la regola;

la seconda ragione di sconcerto, emersa sui social come eco dei morti, viene dalla lettura dei testi di questo tale sfera ebbasta; personalmente li trovo nauseabondi, nel senso che non ho mai trovato niente di esteticamente condivisibile nel materiale di vomito, e molti hanno provato la mia medesima sensazione di rigetto; e tuttavia la manifestazione di questa repulsione è stata tacciata di ‘moralismo’ da tanti altri che invece trovano praticabile e accettabile questo genere di messaggio artistico;

ma vi è per me, in questa bizzarra somma di sconcerti, una terza ragione oltre la prima (il locale) e la seconda (lo spettacolo); la terza ragione è ‘il pubblico’; dunque off-limits del luogo, perversione del messaggio, ”normalità” del pubblico;

tutti sono concordi a giudicare fuori limite il locale, salvo non riflettere a sufficienza sul fatto che in genere va proprio così, poichè il facile panem et circenses è per un sistema politico lo strumento più economico di consenso; non tutti sono sconcertati dalla perversione del messaggio, tanto che chi come me ne resta nauseato viene tacciato di ‘moralismo del cazzo’; io poi mi trovo come solo per come precipito nell’abisso della terza ragione di sconcerto, la ‘normalità’ del pubblico, prevalentemente di scuola media e con buona acquiescienza dei genitori;

partiamo dallo spettacolo, che si pretenderebbe inattaccabile dal punto di vista morale: e invece no, è il messaggio che crea il suo pubblico, che lo massaggia e lo addomestica e che come ogni ammaestratore porta poi il suo gregge mansueto alla gabbia;

dunque gabbia, doma, mansuetudine: questa volta è tracollata la gabbia, l’artista è compunto per due sere nel suo limbo creativo in vista del prossimo ingaggio, fino a quando la mansuetudine terminerà di piangere i suoi agnelli: tutto regolare, statisticamente è nel conto…

no, è tutto il conto ad essere ripugnante: se in uno spettacolo si può mettere a nudo che sei puttana, si può anche mettere a nudo che sei merda ebrea, che puoi fare a brandelli tua madre, ecc. ecc.: o anche solo che se sei rom sei parassita e che se sei nero porti malattie, ecc.: in fondo i twitter di alcuni showmen politici non si avvalgono della stessa abdicazione del limite morale?

il fuori programma prende la scena, come sempre più spesso accade, in forma di tragedia: ma essa ha squassato solo il lato più evidente di tutta la configurazione la quale di lati ne ha almeno quattro: il locale, lo spettacolo, il pubblico, il senso comune; è caduto un pezzo di ferro e ha schiacciato come topi alcuni di quel soprannumero; è vero, ma la parte più blindata, marcia, indiscussa e indenne è proprio il resto

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