TERRE DI MEZZO: la grande Piacenza italiana – di Gian Luigi Deiana

TERRE DI MEZZO
la grande Piacenza italiana

di Gian Luigi Deiana

 

 

La fosca fiamma sul berretto della caserma dei carabinieri di Piacenza non è un fulmine a ciel sereno: non tanto per il presunto fulmine solitario, quanto per tutto quel cielo, che non è sereno affatto.

E non è per un quantum fisiologico di mele marce, ma per una prassi extra-legge che le forze dell’ordine continuano a ritenere di potersi concedere a discrezione propria.

Il territorio della legalità e il territorio dell’illegalità o addirittura del crimine sembrano essere separati e intermediati quasi per natura da una terra di mezzo dominata storicamente dalle forze dell’ordine, e in modo ricorrente da zone franche dei carabinieri.

Non mi importa di ridurre o non ridurre il caso Piacenza a singole mele marce, quello che mi importa è che non si riduca la grande palude o la grande terra di mezzo al caso Piacenza.

Qui c’è in gioco, al di là dei propositi di pulizia enunciati ripetutamente e anche coraggiosamente dal generale Nistri, l’attuale capo dell’arma, il tema di una strutturalità e di una continuità della pratica della “terra di mezzo”: cioè una trama storica che perdura alle spalle dei carabinieri comuni e del generale riconoscimento di cui godono da parte dei cittadini.

Chi ha mosso la regia della trattativa stato-mafia?

Chi ha fatto sparire l’agenda di Borsellino?

Chi ha piazzato nei posti chiave le menti sopraffine di cui aveva timore Falcone?

Chi ha depistato le indagini sul caso Cucchi?

Chi ha coperto per anni il delitto Impastato?

Chi ha garantito la struttura operativa del piano Solo?

Come è evidente anche a un cieco, specie nei giorni del ricordo di Genova 2001, l’elenco e pressochè infinito: e quindi non è un elenco, è una trama storicamente e socialmente verificabile.

Ma per restare solo agli abusi di Piacenza nella squadra antidroga, chi ricorda oggi che solo pochi anni fa ne fu arrestato il capo per la stessa prassi, continuata per anni fino ad oggi dopo di lui, e cioè giocarsi aspettative di carriera ricattando tossicomani con dosi di droga o torture o arresti artificiosi fino a entrare in concorrenza o in complicità con il narcotraffico propriamente detto?

Perchè quella vicenda non lontana fu presto dimenticata ed è stata di nuovo Piacenza la metastasi conclamata del cancro?

È improprio pensare a una continuità di anni e quindi a una struttura radicata e quindi a una prassi?

Non c’è del marcio nel regno di Danimarca, piuttosto che in qualche mela soltanto?

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