Viaggio in Palestina: Incontro con Jamal Zakout – di mariella Setzu

A Gaza Israele fa le prove su quanto in là si può spingere nell’affossare i palestinesi.
Un governo israeliano non è mai stato così oltranzista nelle pretese come quello attuale.

Al nostro albergo “Best Eastern” di Ramallah, più tardi, verso le 19, incontriamo Jamal Zakout, figura di politico già leader del Fronte Democratico nella prima Intifada, incarcerato, torturato e poi deportato. Rientrato in Palestina dopo gli accordi di Oslo è indipendente ed è stato responsabile nel governo di Salam Fayyad per le comunicazioni e i rapporti con la società civile.
Ascoltiamo le sue considerazioni sullo stato del processo politico circa la questione palestinese e gli poniamo alcune domande.
La principale ragione del fallimento di questo processo a trovare soluzioni, è che Israele non è mai stata seriamente impegnata né dai trattati né dal diritto a discutere i negoziati e porre fine all’occupazione; purtroppo i palestinesi hanno avuto spesso una linea morbida perché sollecitati in questo senso dalla comunità internazionale; e ancora, la comunità internazionale è responsabile del fatto che Israele continua a esercitare la sua politica di occupazione senza fargli pagare nessun prezzo.
Un’altra ragione è che l’attuale governo porta alle trattative posizioni così estremiste che non c’è nulla che potrebbe essere accettato dai palestinesi: sostengono ufficialmente che bisognerebbe espellere i palestinesi; che non c’è spazio per uno stato palestinese, che gli insediamenti devono continuare indisturbati nella Cisgiordania. Questo governo si sente con le mani del tutto libere.
In più gli stati arabi sono indaffarati nelle loro questioni; i palestinesi sono attualmente divisi, la comunità internazionale non ha mostrato nessuna intenzione di rendere Israele responsabile per la violazione dei diritti umani dei palestinesi. Possono fare quello che vogliono e per tutta risposta viene fuori una dichiarazione morbida di Ashton e di Kerry.
Così Israele capisce che può muoversi senza nessun tipo di restrizione.
La questione più urgente è il blocco di Gaza, che andrebbe sollevato subito, e che invece è per Israele un modo di saggiare quanto deboli siano attualmente i palestinesi tanto da poterli distruggere e appianare così ogni questione. In questa tremenda situazione per i palestinesi dovrebbe essere una priorità quella di trovare l’unità.
Certo gli esponenti politici che hanno diviso i palestinesi non ritengono che questo sia urgente. Se la decisione dell’unità dovesse essere lasciata singolarmente ad Abu Mazen e Hamas, un risultato non si raggiungerebbe rapidamente; in effetti la contrapposizione non dovrebbe essere tra Hamas e l’OLP ma tra chi appoggia l’unità e che vi si oppone. Gli ultimi dieci mesi hanno riservato delle novità rispetto alla situazione egiziana, quando i fratelli musulmani avevano preso il potere in Egitto, Hamas si sentiva forte, e non voleva sentire di unità, ma ora che i fratelli musulmani sono stati spodestati del potere in Egitto anche Hamas ne risulta indebolita ed è più incline ad optare per l’unità tra i palestinesi. Dopo ciò che è successo in Egitto dentro Hamas ci sono tre posizioni diverse: una è quella che dopo sette anni che Gaza è al potere non può sempre e solo accusare l’occupazione o la comunità internazionale, ma deve assumersi delle responsabilità. C’è poi la linea dura, che rifiuta ogni tipo di compromesso e son quelli che gestiscono i tunnel, che traggono profitto dall’assedio. E’ l’ala militare. La terza linea è più vicina alla prima, e sarebbe più pragmatica e orientata all’unità, ma ritiene che questa sia prematura.
Ci sono già stati accordi per un governo di unità nazionale, uno era stato a Doha, tre anni fa, e uno al Cairo. Questi accordi prevedevano anche una possibile data per le elezioni, visto che le ultime sono state nel 2006. Jamal ci comunica che il giorno dopo (cioè Lunedì 21 Apr.) ci sarà una delegazione di alto profilo dell’OLP che partirà per Gaza per cercare di sottoscrivere una dichiarazione di unità con Hamas sulla base dei protocolli già sottoscritti. Osservo a posteriori che qualche giorno dopo abbiamo saputo che all’incontro di Gaza era stato raggiunto un accordo per l’unità. L’auspicio di Jamal si è concretizzato.
Una critica – forse anche un’autocritica – espressa dal nostro interlocutore è che i partiti politici in Palestina sono distanti dai problemi quotidiani della gente, e dice che c’è bisogno di un movimento di opinione che modifichi questo scollamento. Malgrado ci siano attualmente vari movimenti di lotta (resistenza non violenta, BDS ecc.) c’è anche una carenza di visione strategica e di una vera leadership politica. La maggior parte di questi gruppi sanno cosa non vogliono, ma non sanno esattamente cosa vogliono. Ritiene che questo sia anche legato al fatto che in Israele il movimento per la pace si è molto deteriorato e ciò fa capire ai palestinesi che dentro Israele non c’è un impulso al cambiamento. Questi nuovi gruppi dentro la società palestinese non vogliono né prestare attenzione ai negoziati con Israele, né avere incontri a livello pubblico con israeliani, perché secondo loro sarebbe solo una perdita di tempo. C’è anche chi dice che la soluzione dei due stati è finita, e chi dice che non si può dire questo dopo che si sono investiti decenni a cercare una soluzione in questa direzione.
Se i palestinesi vedessero che da parte della comunità internazionale ci fosse solidarietà per i loro diritti questo aiuterebbe a dare una svolta, trovare fiducia e superare il senso di depressione. Il 2014 è stato anche dichiarato dalle Nazioni Unite “anno di solidarietà con la Palestina”.
Ad una domanda sulla questione nucleare tra Israele e Iran, Jamal risponde che questo riguarda la competizione sull’egemonia nell’area mediorientale tra Iran, Turchia, Israele, ma la questione palestinese è fuori da questa competizione geopolitica, come ne sono fuori i paesi arabi. La soluzione negoziale con l’Iran è ben vista dai palestinesi perché dimostra che sono i negoziati pacifici che possono portare a soluzioni.
C’è qualcuno che chiede se c’è qualche classe sociale che trae vantaggio dall’occupazione, e Jamal risponde che non ci sono classi sociali palestinesi che traggano profitto perché l’occupazione è così aggressiva che non dà vantaggi a nessuno.
Domanda sul diritto al rientro dei profughi, risponde che ufficialmente sì, tutti lo dicono, l’ONU, la lega araba, mai chiedere ai più deboli di mollare. Dal punto di vista della risoluzione ONU 194 i profughi hanno il diritto. Ma in pratica è tutto fermo.
Ma Israele non solo non accetta le sue responsabilità per le atrocità della Nakba, ma addirittura afferma che loro sono i soli padroni della Palestina. La comunità internazionale dovrebbe imparare a dire “basta” ad Israele (cosa di cui siamo assolutamente convinti, ma che sembra lontana dal realizzarsi).
Con Jamal ci lasciamo che è ormai tardi, domani lui sarà a Gaza alla ricerca di soluzioni, e sapremo più avanti come sarà andata.

Mariella Setzu

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *