INCROCI DEL SUD (il filosofo parmenide, un bambino di amalfi e uno che sa di non sapere)

Ci sono due modi per andare da qualche parte: il primo modo consiste nel fare un percorso definito, il secondo modo consiste nel girovagare a caso; qui sta la differenza tra un turista calcolato e un vagabondo estremo e la cosa migliore sta ovviamente nel mezzo; un viaggio programmato è morto prima di partire e un vagabondaggio nel caso non sa mai dove si trova; quelli del primo tipo fanno fotografie alle cose rinomate, mentre quelli del secondo tipo trasfigurano cose senza nome; in ambedue i casi si tratta di fare un’ immagine di ciò che si vede in giro, ma secondo me, come insegnano il poeta omero e il narratore jack london, la movenza visionaria della narrazione è negata alla fotografia: omero per esempio era cieco e il più grande romanzo di jack narra il viaggio stellare di un prigioniero chiuso in cella;

andando a sud con mia moglie, è stata la strada a intrecciare la sua meta definita e la mia meta inesistente, napoli croce del sud ed elea spirito vagante; tutti sanno cosa è napoli e perché napoli sia al mondo, mentre elea è un luogo sacro dei libri di liceo che nessuno ti spiega dove sia: eppure è la patria del più grande di tutti i filosofi, che è il greco parmenide, e di una scuola di domande che non avranno mai soluzione; la filosofia di parmenide consiste essenzialmente sulla pensabilità del nulla: egli affermava che poiché il nulla è nulla di nulla esso non può propriamente nemmeno essere pensato, ma il non pensarlo comporta come risultato che non si può pensare un bel niente di tutto il resto che pure qualcosa è, per esempio che la terra “non è” il cielo, che io “non sono” te ecc.

come che sia, anche se il luogo in cui vuoi arrivare è probabilmente immaginario le tappe che devi fare per raggiungerlo sono invece reali: e così tanto per cominciare eccoci a napoli; a napoli, e precisamente nella terra di mezzo tra san giovanni a teduccio e il quartiere barra, eravamo alloggiati in un convento di suore ormai quasi vuoto; questa terra di mezzo tra i due quartieri, da quando vi sono stati edificati alcuni sterminati condomini per gli sfollati del terremoto dell’irpinia, è oggi nota come il bronx ed è caratterizzata da un magnifico ritratto murale di diego armando maradona alto una decina di piani, contrassegnato dalla biblica scritta “dios es umano”; la notte dalla camera in cui eravamo a cuccia in convento abbiamo sentito delle cose che sembravano fuochi d’artificio, ma il giorno dopo il giornale “il mattino” postava in prima pagina proprio il murale di maradona dicendo che c’era stata nella notte l’ennesima “stesa”; lì per lì ho pensato alla stesura del murale, o a qualche bizzarra trovata sul modo di stendere biancheria tra i balconi, poi invece ho capito che la stesa è una scorribanda di auto lanciate a sparare raffiche all’impazzata per strada: dice che è per segnare con le pallottole il comando sul territorio, e quando ho chiesto lumi alla suora lei ha alzato le braccia e ha detto: “non so”;

come tutti sanno a napoli capitano tante cose sorprendenti, soprattutto ai cosiddetti quartieri spagnoli che sono costituiti da quei vicoli tra via toledo e la funicolare che si vedono nei film; mentre seduto sul ballatoio di un piccolo ristorante scoprivo che i maccheroni napoletani non sono spaghetti ma sono quella pasta che ad ardauli si chiama “natali con bagna”, sopraggiunsero tre coppie di mezza età in gita dalla sardegna; la cameriera si è presentata loro per le ordinazioni rivolgendosi al signore che appariva come il più autorevole della compagnia, e ha esordito dicendogli che il menù poteva proporre sia antipasti di mare che antipasti di terra; il mio inarrivabile compatriota ha risposto con aria spaesata e gentile: “boh, io non sono pratico!”;

l’immagine di totò disegnata sul vecchio cartello di cinema affisso lì al muro parve levare un cenno di complicità su quella irresistibile confessione; ed io a mia volta non ho potuto fare a meno di imprimerla nella mia mente, giurando di esprimerla a mia volta tutte le volte che risulterà necessario; g.l.d. ne ha le scatole piene del comandamento secondo il quale si deve sempre far finta di sapere tutte le cose e se c’è una cosa che ha imparato a napoli, tra un poster di totò e un pensionato in gita da bultei o da esporlatu, è proprio questa: io non sono pratico!; io so di non sapere;

il problema più ricorrente di chi va in giro a napoli, come succede per molti problemi, c’è ma non si vede: si tratta del come risolvere l’incombenza del fare la pipì: questo inconveniente è per sua natura non risolvibile in quanto per risolverlo devi andare al bar, per non fare brutta figura ordini una birra e di conseguenza predetermini la ripetizione dell’incombenza di lì a un’ora dopo; se chiedi acqua anziché birra non c’è niente da fare: la regola è che nei bar di napoli l’acqua non si deve pagare; una delle toilette che ho visitato in uno di tali tragici frangenti era arredata con bellissimi sanitari di disegno barocco e con uno stemma blu col magnifico disegno di un’aquila con le ali dispiegate e la scritta “old england”; queste cose confortano e una sana nuova bevuta ne appare la dovuta giustificazione;

il mio appuntamento con parmenide balenava appena sul mare ancora più a sud e quindi salutammo le suore e finimmo per fare tappa su un piccolo paesino sopra il fiordo di amalfi; tutti sanno quanto sia bella amalfi, patria della bussola e dei gelati al limone, ma non tutti sanno che se fai un paio di chilometri di gradini sulla fiancata del fiordo puoi arrivare sopra la gola andando su a piedi, e anche nel buio della notte; il paesino a monte si chiama “pontone” e al tempo in cui amalfi trafficava la lana del gherb coi mercanti di tunisi era popolato da una corporazione della lana; questa corporazione edificò una piccola chiesa dalla cui facciata si protende in orizzontale una lunga pietra, come fosse un traguardo; e infatti lo era: segnava la linea superata la quale un qualunque manigoldo poteva godere del diritto di asilo e non essere arrestato; doveva essere bellissimo, poiché significa che tu potevi scendere giù al paese, sgraffignare una cesta di pesce o delle canne da pesca o favette e poi salire di corsa quel paio di chilometri di scale coi carabinieri alle calcagna, poi appena stavano per acchiapparti superavi la pietra di chiesa e da lì potevi fargli le boccacce; secondo me è un vero peccato che sia stato abolito il diritto di asilo;

quando cominciava a fare buio i pochi bambini del borgo ancora giocavano col pallone nella piazzetta, tra la chiesa e la pizzeria; così sono andato dentro a chiedere due cartocci di patate fritte da portare via e mentre aspettavo uno dei piccoli mi si è avvicinato e mi ha chiesto di stare lì a cena, perché così avrei potuto aiutarlo a fare i compiti; era in seconda elementare e il suo problema era che aveva sbagliato quasi del tutto il compito sui nomi semplici e sui nomi composti;

“capotreno”? – semplice; “caporale”? – composto; “pensionato”? – composto; “salvagente”? – semplice, eccetera; il mio piccolo mi ha spiegato che nomi come capotreno o come salvagente o come marciapiede sono semplicissimi, infatti si capisce subito che cosa è; invece nomi come caporale, pensionato, massicciata ecc. sono complicati, devi capire prima di che cosa sei caporale, che razza di pensionato sei e così via; era un bambino imbattibile, e quanto a me me la sono cavata chiedendogli: che cosa è questa cosa qui dove ci si siede a mangiare la pizza? risposta: la tavola; ah, e “tavola” è semplice o composto? risposta: che domanda, è semplice; ah, e se io mi siedo dove sei seduto tu cosa divento in questa tavola? risposta: “capotavola”; ah, e se tavola è semplice capotavola che cosa è? risposta: “ho capito!”; il mio piccolo si era illuminato come successe ad archimede il giorno in cui comprese per quale ragione le navi stanno a galla anche se sono tanto pesanti; salutai lui e sua madre coi cartocci pieni di patatine e col cuore pieno di gioia;

finalmente arrivammo ad elea, così come il mucchio selvaggio sarebbe potuto arrivare a durango; le fonti principali per capire cosa sia elea sono costituite da strabone, dallo stesso parmenide e da wikipedia; wikipedia dice che il sito, sepolto da oltre duemila anni, è stato intuito da winckelmann poco più di due secoli fa, comprovato poi dagli scavi eseguiti per fare la ferrovia ed infine censito dall’unesco e preso in carico dall’unione europea per la campagna di scavi e per farne una specie di paestum; tutti i soldi sembra siano stati spesi ed è stata realizzata, di fatto, quasi soltanto la biglietteria; ma ovviamente se non risulta niente da vedere i biglietti non li prende nessuno, a parte i fissati come me e la martire che a volte mi dà retta; gli scavi sono aleatori e per le strade dei dintorni non ci sono cartelli indicatori se non quando ci sei arrivato da solo e per colpo di culo; ma quando ci sei vicino sai che devi frugare proprio lì perché in prossimità c’è un ristorante per matrimoni chiamato appunto “parmenide” e poi è lì che è situata la sorgente di “vele” che duemilaseicento anni fa è stata teatro di tutta la vicenda;

il clan di parmenide in realtà governava in origine una colonia greca in asia minore, la città di focea; secondo strabone se ne allontanò in seguito alla pressione mercantile esercitata dai persiani, e riparò in corsica dove fondò la città di alalia che oggi si chiama aleria; immaginate di mettervi in mare a smirne su delle barchette a vela con donne e bambini e coi vecchi e con i simboli degli dei, aggirare la sicilia e dirigervi su oltre le bocche di bonifacio quindici secoli prima che gli amalfitani diffondessero l’uso della bussola, e fondare dal niente una città nella piana del fiumorbo oggi piena di vigne degli ex coloni francesi d’algeria; aleria, appunto: ma anche da qui il clan dei focesi dovette sloggiare per l’ostilità etrusca e cartaginese e quindi riattraversò il tirreno e prese in carico dai lucani dell’entroterra del cilento l’area di questa magica sorgente; vi edificò la nuova patria, quasi sul mare, con il tempio sull’acropoli sovrastante; e qui è il celeberrimo proemio del poema di parmenide a descrivere la città, il viale dei pioppi che porta al mare e la via della verità, sulla collina ove si trova la dea;

oggi l’acropoli è bucata dal tunnel della ferrovia e non vi si può andare sopra poiché nessuno si cura di mettere mano a un comune decespugliatore; il treno rompe ogni tanto il silenzio, nel vano tentativo di raggiungere la tartaruga di zenone, il secondo grande scolaro e legislatore della città; i cartelli esplicativi dicono che la piana è stata periodicamente alluvionata e lo sguardo vi aggiunge che la vegetazione incontrollata invade ogni spazio della superficie; se vi viene da piangere, siete da tremila anni in buona compagnia: qualche chilometro più giù di elea potete trovare il capo tempestoso ed azzurro in cui cadde in mare palinuro, il mitico timoniere di enea, non si sa se perso dall’amore per una fanciulla o preso dal dio del sonno mentre era al timone, o tutte e due le cose insieme;

la lunga strada del litorale risale da paestum a pompei con incessanti edificazioni balneari; sulla marina a valle di eboli, ove si dice che persino cristo si sia dovuto fermare, troneggia una continua segnaletica tesa a informare che la strada è soggetta a controllo antiprostituzione; non so se ci siano più cartelli o più prostitute, ma a ridosso di uno di questi avvisi ho potuto vedere una ragazza seduta su una seggiola, con la lapide di un qualche malcapitato vittima di un incidente proprio di fronte a lei; la lapide era curata e ornata di fiori; a queste donne tocca sempre di andare anche più avanti di quanto cristo in persona non sia riuscito a fare; è primavera e in qualche modo l’ angolo di mondo di una di esse è colorato di fiori davanti ai suoi piedi;

la piana di castel volturno è segnata dal flusso lento dei fiumi, sull’antica via domitiana; una specie di matrimonio tra un’eterna lietezza e un’eterna tristezza pervade la grande campagna, nota per i prati per mozzarelle e per la terra dei fuochi; mentre le immagini delle strade e dei vicoli di città giostravano insieme nella mia mente pensavo ai soldati in marcia verso cassino, e a mio padre da quelle parti che allora aveva poco più di vent’anni, mentre ascoltavo carlos santana suonare una canzone intitolata “as the years go by”; credo che i veri protagonisti di questo andare qua e là, il grande parmenide, il mio compatriota che non è pratico di antipasti, il mio piccolo archimede che ha capito cosa siano i nomi composti, e il vecchio carlos santana e le ragazze che non hanno potuto fermarsi ad eboli e persino le suore della terra di mezzo tra san giovanni e il quartiere barra siano convinte con me di questa piccola eterna verità: il blues è la più grande invenzione della storia umana.

Gian Luigi Deiana

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