Interviste

Lilli Pruna

Gentilissima Lilli Pruna
D. parlando di scuola vorremo portare alla tua attenzione il tema della valutazione. Uno degli imperativi della scuola pare sia valutare: tutti allo stesso modo, senza investire, e con intenti punitivi per le scuole che non rispondessero ai requisiti imposti dall’Invalsi. Che lettura dai di questa “esigenza” che pare ignorare la realtà?
R. Credo sia un’ottima cosa valutare gli esiti di un investimento importante come l’istruzione, ma bisogna ricordare in primo luogo che la valutazione è un mezzo e non un fine: deve infatti consentire di migliorare il sistema dell’istruzione, e questa è l’unica ragione per cui valga la pena costruire strumenti e procedure di valutazione. Valutare è difficile, perché occorre tenere conto di grandi differenze di partenza e di importanti fattori di disuguaglianza, che riguardano le singole persone (alunni e docenti), le istituzioni scolastiche, i contesti territoriali. Se si dimentica a che cosa serve la valutazione, e che cosa significa valutare, diventa solo una interferenza iniqua, una fonte di diffidenza e disaffezione, che non produce alcun vantaggio al sistema dell’istruzione, semmai procura qualche danno ulteriore.A me pare che in Italia si tenda sistematicamente a confondere la valutazione con il controllo (non solo nella scuola), perché prevale un atteggiamento conservatore e autoritario, ma anche perché non è ancora maturato un interesse effettivo a rafforzare, qualificare, ampliare il sistema pubblico di istruzione e innalzare il livello di istruzione della popolazione. E’ questo debole interesse per la qualità dell’istruzione e per la sua funzione essenziale in una democrazia che spiega il penoso fraintendimento tra la valutazione e il controllo, funzionale ad una giustificazione ex post di scelte economico-finanziarie che rispondono ad interessi e strategie che vanno in ben altra direzione. Non può non sorprendere, infatti, che dai risultati della valutazione non sia mai emerso –per fare qualche esempio – il problema degli investimenti pubblici insufficienti, della precarietà cronica degli insegnanti, della limitata possibilità di scelta dei percorsi scolastici superiori da parte degli studenti.

D. In Italia la popolazione “funzionalmente analfabeta” ha raggiunto la cifra allarmante del 67%. Questo dato racconta di una società fragile, facilmente manipolabile e indifesa. La scuola può essere considerata l’unica responsabile? Può essere lasciata sola ad affrontare l’emergenza?

R. Le quote elevate di analfabetismo funzionale, abbandoni scolastici, bassi titoli di studio, sono l’esito del deliberato indebolimento – se non proprio smantellamento – della scuola pubblica e del diritto allo studio, avviato da molti anni. Per produrre un quadro tanto disastroso e in controtendenza rispetto agli altri paesi avanzati ci sono voluti decenni di sistematico ridimensionamento del ruolo sociale fondamentale della scuola. La scuola è la vittima e non la causa di questa azione ostinata di riduzione di mezzi, risorse, autorevolezza, che ha impoverito l’intera società e non solo il sistema di istruzione. Se consideriamo la popolazione tra i 25 e i 64 anni, cioè un’ampia fascia di età in cui il percorso di istruzione è generalmente concluso, dobbiamo purtroppo osservare che nel 2012 il 40% delle persone che vivono nelle regioni del Nord Italia ha conseguito al massimo la licenza media, ma al Sud sale al 50% e in Sardegna supera addirittura il 53%. Tradotto in cifre significa che in Italia ci sono circa 15 milioni di persone adulte che hanno concluso il percorso formale di istruzione con la licenza media. Se a questi sommiamo coloro che nel corso degli ultimi decenni hanno conseguito un titolo secondario di qualità sempre più scarsa e coloro che sono usciti dalla scuola da molto tempo e non hanno più avuto occasione di formarsi e aggiornarsi, otteniamo un quadro desolante, con 25-30 milioni di cittadini e cittadine poco istruiti e poco attrezzati ad affrontare le difficoltà e cogliere le opportunità di una società complessa, ma in primo luogo ad esercitare i propri diritti di cittadinanza. E’ una situazione che imporrebbe un brusco cambiamento di rotta: l’interesse pubblico e le risorse andrebbero concentrate nella scuola, non come è adesso ma come dovrebbe diventare per essere al centro della società.

D. A Milano il sindaco Pisapia ha trovato il coraggio di tagliare i fondi alle scuole private . La priorità sono le scuole pubbliche , alla canna del gas ormai, una scelta condivisibile solo da chi opera nella scuola pubblica o che deve essere la strada da seguire?
R. E’ di questi giorni la notizia che la “legge di stabilità”, appena arrivata al Senato(per fortuna ancora emendabile), prevede 220 milioni di euro per le scuole paritarie mentre blocca anche per il 2014 gli stipendi del personale della scuola. E’ una situazione tipica del modello italiano, in cui il ridimensionamento dell’intervento pubblico è avvenuto non attraverso una vera e propria apertura al mercato ma con l’affidamento di servizi al privato in forma sovvenzionata(sistema di convenzioni nel caso della sanità, finanziamenti diretti nel caso della scuola paritaria): non un vero regime di mercato, dunque, ma un trasferimento al privato di competenze e risorse pubbliche, con qualche vantaggio ulteriore per i privati, come la riduzione del rischio di impresa e l’esonero dai controlli stringenti cui sono sottoposti i servizi pubblici. Questa cessione crescente di competenze pubbliche ai privati viene motivata con ragioni di bilancio, cioè di riduzione della spesa: lo Stato dichiara di risparmiare affidando spazi crescenti nell’istruzione e nella sanità ai privati. Il risparmio avviene principalmente a spese dei lavoratori e delle lavoratrici, che nel privato hanno condizioni contrattuali, retributive e organizzative nettamente peggiori. Allo stesso tempo, lo Stato continua a disinvestire nella scuola pubblica, sottraendole risorse e sottoponendola a continue riforme a costo zero, mentre garantisce finanziamenti non marginali alle scuole paritarie. Eppure la Costituzione è chiarissima: l’art. 33 stabilisce che “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.”

D. Sulla scuola vengono rovesciate emergenze educative, sociali , familiari. Gli insegnanti però sempre più spesso vengono visti come nemici, scansafatiche e responsabili unici dell’ insuccesso scolastico dei loro studenti. Se gli studenti non sanno rispondere ai quiz invalsi, noi andiamo a fare il corso per insegnanti bocciati, se hanno una cattiva condotta la responsabilità è degli insegnanti, se si fanno male in classe, la colpa è degli insegnanti. Se la colpa è sempre dei docenti quando diventeranno maturi e responsabili questi giovani e le famiglie che ruolo rivestono? È educativo tutto questo? O si tratta solo di uno specchietto per le allodole che serve a parare i colpi di una crisi criminale?
R. Credo che addebitare alla scuola gli insuccessi e i tanti problemi della condizione giovanile sia perfettamente funzionale alla strategia ormai chiara di smontare la scuola pubblica, dichiarandola incapace di svolgere adeguatamente il ruolo educativo che le viene affidato. Del resto, l’idea che prevale da tempo è che ciò che è pubblico non funziona e costa troppo, mentre il privato è sempre efficiente e conveniente. Lo dimostrerebbe il fatto – che fa ormai parte dell’immaginario collettivo – che nella scuola privata gli insegnanti non scioperano, gli alunni non perdono ore di lezione e c’è più disciplina (oltre che la carta igienica nei bagni). Anche la potente retorica della famiglia, considerata per eccellenza luogo d’amore e di cura e non palestra di grandi e profondi conflitti, gioca un ruolo rilevante nello scaricare sulla scuola l’intera responsabilità delle inquietudini, incertezze, debolezze, paure e intemperanze giovanili, che la scuola da sola non può sostenere. Vero è che negli anni recenti gli spazi di collaborazione tra scuola e famiglie sono stati progressivamente ridotti e svuotati di significato, e forse anche questo ha contributo a deresponsabilizzare le famiglie e lasciare la scuola da sola, con un compito impossibile.

D. Sei arresti , qualche giorno fa , in seguito allo scandalo delle“pillole del sapere” Ilaria ediast, l’imprenditrice al centro della vicenda dei prodotti audiovisivi per bambini che costavano mille euro ma il Miur comprava a 39mila, accusata di concorso in bancarotta. Ai domiciliari anche il direttore relazioni istituzionali di ediaste. Questa vicenda, grazie al lavoro di indagine di Report e alle numerosissime segnalazioni degli insegnanti, hanno svelato che le famigerate “Pillole del Sapere “ erano una truffa, si è conclusa così una vergognosa vicenda “ ultimo atto dell’ era Gelmini”, compiuto quando la signora già faceva le valigie. Quale meccanismo clientelare continua a spingere il Miur, a tagliare continuamente servizi essenziali alla sopravvivenza della scuola pubblica, la scuola della Repubblica, per foraggiare, invece, mangiatoie sì scandalose?
R. Devo tornare al rapporto tra Stato e mercato, tra interessi pubblici e privati. E’ un rapporto malato, la corruzione è la malattia, i favori personali e gli sprechi sono gli altri disturbi gravissimi. I casi sono numerosi, anche nell’ambito “povero” dell’istruzione, e quello citato nella domanda è solo l’ultimo. Nei decenni trascorsi la Sardegna ha ricevuto e speso – soprattutto sprecato – ingenti risorse pubbliche in grandiosi progetti per l’innovazione del sistema scolastico, uno fra tutti il Progetto Marte, 80 miliardi di lire in tre anni per realizzare “un sistema di apprendimento su rete tecno educativa”. L’intervento era “finalizzato alla realizzazione di infrastrutture del sistema scolastico regionale, con l’impiego di più moderni strumenti tecnologici soprattutto sul versante della didattica.” A che cosa sono serviti, effettivamente, quegli 80 miliardi di lire, al netto dei consulenti sempre pagati come fossero Nobel? Quanti altri progetti e soldi e consulenti hanno riguardato la scuola sarda, fino ai mesi scorsi, lasciandola sempre troppo povera e debole rispetto alle attese e alle spese? I meccanismi clientelari, le incompetenze e il disinteresse palese per le sorti della scuola non sono limitati al livello centrale (Ministero) ma si estendono a quello locale (Regioni), e non da oggi. L’idea che con truffe e imbrogli si possano sottrarre risorse persino al settore pubblico più povero, quella della scuola, non ha mai destato particolare scandalo.

Lilli Pruna

Deputato Michele Piras

Gentilissimo on. Piras
D. Lei fa parte della Commissione difesa della delegazione italiana presso l’Assemblea della  Nato. Una posizione privilegiata per un rappresentante della Sardegna che ha pagato un prezzo altissimo all’adesione dell’Italia alla Nato. 21 basi militari. Le sole basi di Teulada e Quirra si estendono per 20.000 ettari.
Territori, popolazioni, economie devastate. Dopo la parentesi del governo Soru che aveva avviato un percorso di smilitarizzazione, ora Mario Mauro Ministro della  Difesa, rilancia l’occupazione militare della Sardegna, proprio dalla nostra isola. Le reazioni dei politici locali sono state di silenzio colpevole, mentre l’informazione spacciava titoli come quello della  Nuova Sardegna  “La Difesa è il principale datore di lavoro nell’isola” .  Quali iniziative conta di intraprendere col suo gruppo, in ambito parlamentare e quali come delegato alla Nato?

R. Ho sempre pensato che l’occupazione militare dell’Isola, se si ragiona (raramente lo si fa ma sarebbe opportuno) di un progetto di sviluppo per il futuro sia la madre di tutte le questioni, che evoca sia il grande tema del ruolo internazionale del Paese, il senso profondo dell’art.11 della Costituzione, la questione ambientale, il diritto alla salute, la sovranità ed il diritto all’autodeterminazione delle popolazioni. Perciò è uno dei temi che finora mi ha impegnato di più.
Credo che si possa ripartire dalla relazione votata all’unanimità dalla Commissione Difesa del Senato della scorsa legislatura per sostenere le ragioni di una immediata riduzione delle servitù militari in Sardegna (il 61% del totale nazionale) e di una immediata bonifica e progettazione della riconversione delle economie locali. In altri termini la necessità di prevedere non solo la dismissione dei Poligoni di Teulada e Capo Frasca, la riqualificazione, riconversione e riperimetrazione del PISQ, la complessiva smilitarizzazione dell’Isola, ma da subito le alternative, in maniera tale che l’auspicabile “ritiro delle truppe” non coincida con l’ennesimo deserto di inquinamento e ulteriore disoccupazione.
Perciò stiamo lavorando con alcuni intellettuali ed amministratori a un progetto definito, credibile e non velleitario, rispetto al quale le dichiarazioni recenti e l’impostazione del Ministro Mauro appaiono come una narrazione ipocrita e dannosa per gli interessi dei sardi, ma anche per il ruolo che secondo noi la Sardegna e l’Italia potrebbero avere sullo scacchiere internazionale e nel Mediterraneo.

D. Gli scenari drammatici aperti dall’eventualità di un intervento militare in Siria  hanno risvegliato nei movimenti un forte sentimento pacifista  che  ha trovato espressione in diverse iniziative in tutto il mondo. A Cagliari un Sit in e un incontro con il Viceprefetto. Iniziative che non hanno trovato, come al solito, nel mondo politico e istituzionale grandi adesioni. Mentre il Papa, coraggiosamente, lancia una sfida planetaria attraverso un gesto concreto di mobilitazione, il sistema politico appare schiacciato sulle scelte americane, dimenticando i fondamenti costituzionali.
Sarebbe stata importante una presa di posizione netta, anche del suo Partito, di mobilitazione, in un momento in cui la posizione americana si mostrava debole e isolata. Come mai non c’è stata? Quali valutazioni politiche sono state fatte? Quale è la sua lettura della situazione siriana e medioorientale?

R. Assistiamo a una fase di forte arretramento della coscienza civile del Paese. La crisi economica ha frastornato le persone e le rende complessivamente meno disponibili a mobilitarsi. Tant’è vero che – salvo rari casi – non mi pare che sia riscontrabile, su un terreno così importante come la Pace, una mobilitazione di massa. Se si ripensa alla stagione della Guerra in Irak mi pare che la differenza sia evidente.
Questo stato di cose ovviamente rende più difficili i movimenti di forze politiche come la mia, che su questo terreno hanno sempre espresso una posizione politica radicalmente pacificista, orientata alla cooperazione internazionale ed alla soluzione diplomatica.
Non è corretto infatti sostenere che vi sia stata una assenza di SEL su questo terreno: in Parlamento una delle mozioni più determinate e nette contro l’eventuale intervento militare è stata la nostra, le dichiarazioni rilasciate attraverso i diversi canali di comunicazione sono state assolutamente inequivoche e – pur astenendoci sulla mozione della maggioranza – bisogna rilevare che anche il Governo (almeno a questo giro e per ragioni che non mi interessa indagare qui) ha assunto una posizione contraria all’intervento militare.
Per quanto riguarda la Siria ed il Medio Oriente noi riteniamo che non ci possa essere alcuna risoluzione dei conflitti se non si inizia un processo di rimozione delle cause sociali che lo alimentano e se non si coinvolgono tutti gli attori della regione. L’idea che si possa esportare il modello democratico occidentale attraverso la Guerra peraltro ha già mostrato in Irak e in Afghanistan il suo lato ipocrita.

D. Dopo il criticatissimo decreto Clini, del dimissionario governo Monti, che ha scaricato sulla Regione l’onere della bonifica dalla Maddalena eliminandola dal Siti d’Interesse Nazionale (SIN), un’altra legge del tutto irragionevole (ma autolesionisticamente votata dai parlamentari sardi), quella del 7 Agosto 2012 , ha conferito al governo facoltà di sanare per decreto la contaminazione militare: l’art. 35 comma 2 stabilisce che “con lo stesso decreto interministeriale sono determinati i criteri di individuazione delle concentrazioni soglia di contaminazione (…) applicabili ai siti appartenenti al demanio militare e alle are ad uso esclusivo alle forze armate, tenuto conto delle attività effettivamente condotte nei siti stessi o nelle diverse porzioni di essi.”
Chiarissime le conseguenze della modifica dei criteri di individuazione delle concentrazioni soglia di contaminazione: fare rientrare nella norma zone di inquinamento come La Maddalena e Quirra (sui cui si sta anche svolgendo l’indagine della magistratura).

Domandiamo a che punto è il decreto “salva Quirra e poligoni militari”, e che opposizione si può compattare, grazie anche al tuo contributo, per respingere quest’altro pesante attacco alla nostra terra e alla salute di chi ci abita.
R. Io trovo che lo spezzettamento sistematico del tema sia dannoso per tutti e che sia necessario riappropriarsi collettivamente di una vertenza – quella sul superamento delle servitù militari in Sardegna – che dagli anni ’80 a oggi non ha avuto più una trattazione omogenea. Penso anche che su questo terreno non ci siano solamente le opposizioni ma si possano incrociare anche settori di maggioranza e che, soprattutto, la questione debba diventare elemento fondamentale del programma di governo regionale del centrosinistra sardo.
Sul terreno nazionale i rapporti e le interlocuzioni fra noi il M5S e alcune componenti del Pd sono molto positive, ma si capisce bene che l’orientamento complessivo del governo va in senso opposto e la posizione del governo regionale è a dir poco imbarazzante. Una rinnovata mobilitazione dal basso certamente potrebbe aiutare molto.
Sulla questione delle soglie di inquinamento credo che vada condotta una battaglia esattamente opposta e che sulla individuazione delle aree contaminate vada fatto quel lavoro scientifico che finora è mancato, tanto che se da una parte si decreta la modificazione al rialzo dei parametri minimi dall’altra si è spesso esagerato autodichiarando aree SIN anche dove non c’era bisogno pur di aprirsi la strada ai finanziamenti (peraltro tutti ipotetici) per le bonifiche.
Recentemente è stato accolto un mio ordine del giorno sul tema, ma credo che fintanto che regionalmente non si produrrà una mobilitazione vera sarà molto difficile che un singolo parlamentare, per giunta di opposizione, possa sbloccare una vertenza decisiva per il futuro e che – cosa non secondaria – potrebbe produrre migliaia di posti di lavoro per decine di anni.
Si pensi solamente che le stime più benevole sull’ipotesi di una bonifica integrale indicano una cifra vicina ai 40 miliardi di euro.

D. Il tema della scuola non buca nell’informazione.  Eppure riguarda milioni di persone ;  i docenti della scuola italiana sono più di 800mila  e a questi si aggiungono i dirigenti, il personale Ata , gli amministrativi, gli studenti e le loro famiglie.  Il mondo della scuola vive un profondo disagio da circa vent’anni, acutizzatosi negli ultimi anni. Ma il mondo della politica e dell’informazione paiono non essere consapevoli, dirigendo l’interesse  quotidiano dei cittadini verso aspetti fuorvianti, quali l’abolizione della bocciatura, l’informatizzazione, o, peggio, notizie  scandalistiche isolate . E’ l’indifferenza,  la scarsa conoscenza, o una precisa volontà a creare questa disinformazione?
R. Credo che una società priva di un buon sistema formativo sia una società meno libera. La nostra – rispetto al passato – certamente lo è. È anche una società più povera, meno vitale, orientata al declino, incapace di produrre innovazione. E così è.
Elencare i punti di criticità delle riforme che si sono susseguite in questi anni sarebbe incompatibile con l’economia di questa intervista. Io credo che l’idea dello scardinamento del sistema formativo italiano sia assolutamente coerente con l’idea di società che hanno immaginato per il futuro i poteri forti: una società con meno senso critico, quindi meno libera, più condizionabile e circuibile.
Il risultato di vent’anni di riforme è sotto gli occhi di tutti e io penso che non possa esistere alcuna ipotesi di governo progressista del Paese che non preveda un Piano di rafforzamento e rilanciodel nostro sistema formativo: a partire dal riconoscimento di una professione cruciale come quella dell’insegnante e della necessità di rendere pienamente esigibile il diritto costituzionale allo studio.

D. Lei conoscerà certo “Fronte del porto” il capolavoro di Elia Kazan. Al confronto dei precari della scuola, quei lavoratori portuali avevano vita più facile. Lei immagini di trascorrere anni della propria esistenza tra graduatorie di ogni sorta, percorrere centinaia di km al giorno per acchiappare la chiamata, sopportare gli abusi e le vessazioni dei tranelli burocratici, passare l’estate tra scartoffie burocratiche, domande e ricorsi, per avere qualche mese di insegnamento, se va bene . Si avvia con gli  alunni un percorso di reciproca accettazione e riconoscimento. Ma finisce presto, non si porta a compimento il percorso, non si ritorna sulle proprie tracce  educative. Logorati e dimenticati, fino alla chiamata successiva. Anche a cinquant’anni. La tragedia del precariato può trovare però una soluzione, quale e con quali risorse economiche aldilà del battage propagandistico del Ministero sulle immissioni in ruolo ?
R. La precarietà è la vera cancrena che ha svuotato di energie la nostra società. L’incertezza sul futuro che si è prodotta in amplissimi strati di popolazione rende impensabile un rilancio del sistema economico, se con ciò si intende una crescita armonica dell’economia, sostenibile sul piano ambientale e sociale. Perciò serve una politica che torni a mettere in campo una idea di redistribuzione del reddito.
Su questo terreno, senza inoltrarsi sul terreno della demagogia, trovo piuttosto semplice enunciare almeno due ambiti nei quali andare a recuperare le risorse – anche – per un percorso di stabilizzazione dei lavoratori della scuola: in primo luogo una tassa sui grandi patrimoni immobiliari e finanziari che si sono accumulati in un ventennio nel quale lo spostamento del reddito dal lavoro al capitale è stato colossale. Modiano, economista certo non in odor di bolscevismo, ha recentemente proposto una formulazione che io trovo assolutamente credibile.
Per riconoscere il secondo ambito sul quale operare una “spending review” sociale lo si può rinvenire nei bilanci della Difesa (l’unico cresciuto negli ultimi anni al ritmo di oltre 2 miliardi l’anno), riscontrando quanto si è speso per missioni militari come quella in Afghanistan e registrando quanto si investe in sistemi d’arma (f35 ma non solo). Se poi si volessero pure colpire i veri sprechi del Paese, come ad esempio la corruzione e l’evasione fiscale e contributiva, magari si potrebbe scoprire che questo Paese non è poi così povero come si vuol dare ad intendere.

D. I Cobas hanno  una posizione molto critica sull’autonomia scolastica che ha istituzionalizzato la competizione fra le scuole, secondo un modello privatistico.  Dal 2000  la qualità della scuola pubblica Italiana è peggiorata progressivamente ma non esiste una verifica seria degli effetti della riforma che ne possa individuare le criticità.
Lei è uno dei sostenitori dell’autonomia scolastica  o  si pone degli interrogativi critici?

R. Nel 1994 – da studente universitario – mi ritrovai a contestarla in maniera radicale: non ho cambiato idea. Credo che sia stato il principio del declino. Peraltro ci troviamo di fronte a una idea ben strana di autonomia scolastica, contraddistinta da un impatto devastante prodotto da riforme centralistiche che hanno svuotato persino il senso positivo che essa poteva assumere.
Peraltro è da tempo che rifletto sulla straordinaria incapacità della politica (e del sistema Paese in generale) di riconsiderare le scelte fatte nel passato, di prendere atto delle scelte che non funzionano e tornare sui propri passi.
Persino quando una Riforma mostra – alla prova dei fatti e dell’evidenza – la palese contraddizione dei propri obiettivi non trovi nessuno disponibile ad ammetterlo. Eppure stiamo parlando dei primi anni ’90, quindi di un tempo assolutamente congruo per tracciare un bilancio compiuto.

D. L’inviolabilità del  sistema Europa non è più un tabù, anzi è ormai percepito piuttosto  come un orrendo Moloch che richiede  un prezzo insostenibile per i cittadini dei paesi che definiremmo per intenderci “sud” o pigs. Fra i problemi che l’adesione al trattato di Lione e poi di Lisbona pone, vi è il finanziamento attraverso i progetti ;  statali , regionali, comunali, alle imprese, alla scuola. Il progetto nasce già indirizzato verso i  modelli sociali  e culturali  dell’economia neoliberista . “il ruolo principale della scuola, non è più trasmettere saperi, ma piuttosto assicurare l’accesso a certe competenze. Si tratta, di dare la priorità allo sviluppo delle competenze professionali e sociali, per un migliore adattamento dei lavoratori alle evoluzioni del mercato del lavoro » [CCE 1997].  Gli indirizzi di politica scolastica, orientati alla selezione, alla valutazione, alla produzione, sono modelli  incompatibili con una scuola pubblica così come concepita dalla nostra Costituzione. I Docenti lo chiamano progettificio .
Noi riteniamo che andrebbe abbandonato il sistema dei progetti.
Lei  pensa che valga la pena di definire un nuovo sistema di finanziamento  adeguato al diritto all’Istruzione?

R. Certamente. L’ho detto e lo ripeto: il ruolo del sistema formativo è decisivo e senza trasmissione di saperi – a mio avviso – non è nemmeno pensabile sviluppare adeguate competenze professionali. Perchè i due elementi separati producono innanzitutto una sterilità nella produzione di idee per l’innovazione. L’eccesso di specializzazione determina una decrescità del tasso di creatività. Eppure noi siamo per lungo tempo stati il Paese degli inventori. Oggi cosa siamo in grado di inventare, se nemmeno investiamo nella ricerca scientifica?
L’Europa va complessivamente ripensata: perchè così com’è rischia il collasso ed io credo che il collasso dell’Europa rischi di essere il terreno di un ulteriore arretramento di tutti.
Ovviamente così com’è non va. Ed anche per questo penso che la sinistra dovrebbe avere, anche qui in Italia ed in Sardegna, la capacità di immaginare una nuova formula: gli Stati Uniti d’Europa, l’Europa dei popoli, di un nuovo welfare e di una politica di Pace e cooperazione internazionale.

D. Centinaia di coordinamenti in tutta Italia, associazioni di genitori, comitati studenteschi , organizzazioni sindacali non firmatarie, ma molto rappresentative,  chiedono di poter partecipare alle scelte di politica scolastica, alla definizione delle riforme. Nessun Ministro della Pubblica Istruzione , nessun governo ha mai seriamente considerato le istanze spesso drammatiche che arrivano da queste articolazioni democratiche.
La legge Bassanini che ha quasi eliminato i diritti di rappresentanza e di potere negoziale è stata addirittura peggiorata dall’accordo del 31 maggio tra Confindustria, Cgil, Cisl, Uil e Ugl. Si va verso il divieto di sciopero e la privatizzazione della rappresentanza.   Ma il tasso di sindacalizzazione rispetto alle OO.SS  firmatarie ,  nella scuola è in netta flessione (ARAN) e le cifre reali appaiono piuttosto ballerine.

Lei ritiene che il mondo della scuola debba essere coinvolto nei processi di riforma e in quali modi?

R. Io penso che il nostro sistema democratico rappresentativo versi in una condizione di profondo logoramento. E questo logoramento riguarda la rappresentanza istituzionale, quella politica, quella sindacale.
L’origine di questo fenomeno è la profonda trasformazione che la nostra società ha subito nell’ultimo ventennio: i processi di precarizzazione e il mutamento strutturale del mercato del lavoro, l’impoverimento generalizzato della popolazione, la crisi delle appartenenze, una insicurezza sociale che è ha aggredito la psicologia profonda degli individui, la trasformazione-accelerazione potente del sistema della comunicazione (telefonini, internet, social network) hanno impattato in maniera dirompente sui meccanismi che hanno segnato per cinquant’anni lo svolgimento del dibattito pubblico e del processo decisionale, le relazioni sociali e la dimensione delle parti in causa sui singoli temi.
Penso che serva un processo di colossale rigenerazione del sistema democratico, che non può che passare attraverso forme – anche istituzionalizzate e regolate per legge – di partecipazione democratica. E su questo terreno esistono diverse esperienze, da tempo in campo in numerosi Paesi, che hanno dato prova del fatto che una società funziona meglio, recupera coesione e riduce le componenti negative di una conflittualità caotica, se compie lo sforzo dell’ascolto, della mediazione, del processo decisionale partecipato.
Per questa ragione generale trovo che coinvolgere il mondo della scuola vada coinvolto e messo nelle condizioni di concorrere a comporre le decisioni e il profilo della Riforma.

Senatrice Manuela Serra

Gentilissima senatrice Serra

D. Quale giudizio dà sull’attività del Parlamento in questo primo periodo della Legislatura? Esiste un dibattito serio, oppure il Parlamento è svilito totalmente dei suoi poteri, come si dice da più parti? Le commissioni funzionano e producono?

R. Il Parlamento e l’insieme delle persone che ci lavorano, mantiene un livello d’impegno e attività indicibili, difficile darne un giudizio semplificabile in un’unica battuta. Il parlamento, essendo composto da una molteplicità di persone e personalismi politici, non ha un’unico impegno di potere, ma è un incommensurabile ed eclettico scambio d’impegni e realtà alcune volte -per me- troppo spesso lontano dalla realtà della vita dello Stato.
Le commissioni sono 14, ma tutto dipende dalla commissione BILANCIO. Ogni importante decreto viene in primis deciso e valutato in sede referente in commissione bilancio. La
commissione settima (istruzione) della quale faccio parte acquisisce numerose istanze, accoglie diverse audizioni, s’impegna nel miglioramento della scuola e della cultura in tutte le sue numerose forme, ma spesso, troppo spesso ci si sente rispondere dal governo: manca copertura finanziaria…e questo lascia intendere che porterà a termine un impegno, non dipende solo dalla volontà e impegno della commissione.

D. Che importanza ha avuto la scuola nell’attività del Parlamento e nell’attività di Governo?

R. La scuola, ahimè non è conosciuta dalla maggior parte dei commissari. Pochi si sono imbattuti in un lavoro dentro la scuola.  Per conoscere la scuola, bisogna viverla, e non solo leggerla o praticarla attraverso atti o decreti.

D.  Cosa pensa del decreto Profumo sulla valutazione? il M5S ha nel suo programma la sua abolizione? Alcuni pensano che gli insegnanti debbano accettare un aumento del numero di ore settimanali e farsi riconoscere il lavoro ex cattedra che normalmente si svolge a casa. E’ ragionevole pensare che in questo momento un governo qualsiasi sia disponibile ad aumentare gli stipendi proporzionalmente del 25% ?

R. Il  processo di valutazione tramite il sistema INVALSI, è un sistema inutile e dispendioso. In realtà non si dovrebbe solo valutare, ma insegnare i giovani ad un’autonomia di conoscenza e di vita. Io ho proposto una valutazione sull’operato degli insegnanti e sul lavoro nel campo della didattica e in particolare un’attenzione alla metodologia di didattica nel sostegno legata a deficit specifici.
Lo stipendio dei docenti Italiani, è ridicolo. Io non credo si possa attuare un semplice “aumento del 25%”, ma andrebbe revisionato il monte ore e la professionalità didattica.

D. Il ministro Carrozza, al meeting di Cl di Rimini ha annunciato, per settembre una riforma della scuola, l’ ennesima partorita senza che se ne sappia nulla. Ai deputati e ai senatori del M5S sono giunte notizie su cosa contenga questo “disegno complessivo che segni un percorso, individui le risorse ed abbia un pensiero di fondo”?

R. Gli annunci dei “rinnovi” appartengono, ormai ad una costante di governo, attento all’apparenza e poco incline alla sostanza. In questi giorni stiamo studiando il Decreto cultura e si sta elaborando in commissione un’elaborata valutazione emendativa soprattutto per ciò che concerne la valorizzazione di quelle che sono le strutture museali, e i comparti di sviluppo musicale, lirico e teatrale, che in questi anni hanno avuto in tutta Italia un taglio netto di risorse e impegni.

D. Qual è il Suo giudizio sulla ministra Carrozza? Le sembra che possa vantare una buona esperienza nel campo, o ha bisogno anche lei di un lungo tirocinio prima di entrare nei problemi? Ha una visione precisa e documentata dello stato della scuola? Influisce sul consiglio dei ministri, o è costretta a subire (come già successo ad altri ministri) la politica del rigore (cioè dei tagli senza discrimine)?

R. Il ministro ho avuto modo d’incontarla in diverse audizioni, ha presentato il suo lavoro a inizio legislatura e di volta in volta i passaggi per migliorarne l’impegno e la fruibilità del comparto scuola e istruzione. Lavorano nella sua segreteria alcuni sottosegretari come Gian Luca Galletti, Marco Rossi-Doria, GABRIELE TOCCAFONDI che direttamente e profondamente dedicano impegno e ricerca per la scuola.

D.  Quali iniziative ha preso Il Gruppo Parlamentare di M5S in questo periodo? (proposte di disegni di legge, suggerimenti di provvedimenti al Governo, introduzioni di alcuni temi
nella commissione istruzione, ecc?) Quali iniziative hai preso Lei sulla scuola?

R. Il nostro lavoro è iniziato con un impegno per la stabilizzazione precari, razionalizzazione GAE. Impegno quotidiano per una soluzione comparto INIDONEI e quota96. Abbiamo avuto numerose audizioni di associazioni nazionali studentesche, rettori, docenti, TFA ordinari e Speciali. In particolare mi sto occupando di un tavolo tecnico di lavoro sull’Autismo e disturbi dell’apprendimento,  in concerto con docenti, genitori e specialisti, per la redazione di un DDL Nazionale.

D. La Ministra Carrozza, in un’intervista allo stand della FederlegnoArredo ha affermato:
“se vogliamo rimanere un paese manifatturiero che fa dell’evoluzione dell’artigianato in senso tecnologico e progressivo veramente motore dello sviluppo, la formazione è essenziale”
Alla luce di queste affermazioni,  Lei cosa pensa della privatizzazione della formazione professionale e dell’ opera  metodica  di smantellamento che decreterà la fine degli istituti
professionali?

R. La scuola e la formazione professionale non può e non deve essere in mano al solo interesse privato. La formazione e professionalizzazione non può appartenere ad un unica linea di azione, ma deve essere fruibile da tutti. Il m5s è impegnato nella campagna di programma per una scuola statale aperta a tutti e formativa per tutti. La formazione professionale, così come i laboratori di formazione non possono essere convogliati in un unico interesse privatistico, perchè creerebbe un ulteriore divisione di impegno e coscienza sociale.

D. Come dobbiamo interpretare, a Suo parere, il fatto che nelle buste paga degli insegnanti sia scomparsa la voce relativa alla scadenza degli scatti stipendiali? Pensa che avrà mai
fine questo continuo saccheggio sulle spalle dei lavoratori della scuola?

R. Non dipende dal Ministero della pubblica Istruzione il “saccheggio” degli stipendi, ma da una scellerata visione di decreti sul lavoro, che hanno visto il comparto scuola, uno dei più vituperati.

D. Il mondo dell’ Istruzione e i suoi operatori sentono il bisogno di avere degli interlocutori che fungano da raccordo con le istituzioni, Lei è disponibile ad un incontro pubblico sulla scuola con i colleghi  di Cagliari o  di altra città sarda?

R. Io sono sempre disponibile compatibilmente con impegni istituzionali ad incontri sia in Senato che fuori. Per me sarebbe una ricchezza per poter portare istanze e la voce di colleghi dentro l’istituzione stessa….il m5s è nato e cresciuto con questo primo valore d’impegno.

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