Deputato Michele Piras

Gentilissimo on. Piras
D. Lei fa parte della Commissione difesa della delegazione italiana presso l’Assemblea della  Nato. Una posizione privilegiata per un rappresentante della Sardegna che ha pagato un prezzo altissimo all’adesione dell’Italia alla Nato. 21 basi militari. Le sole basi di Teulada e Quirra si estendono per 20.000 ettari.
Territori, popolazioni, economie devastate. Dopo la parentesi del governo Soru che aveva avviato un percorso di smilitarizzazione, ora Mario Mauro Ministro della  Difesa, rilancia l’occupazione militare della Sardegna, proprio dalla nostra isola. Le reazioni dei politici locali sono state di silenzio colpevole, mentre l’informazione spacciava titoli come quello della  Nuova Sardegna  “La Difesa è il principale datore di lavoro nell’isola” .  Quali iniziative conta di intraprendere col suo gruppo, in ambito parlamentare e quali come delegato alla Nato?

R. Ho sempre pensato che l’occupazione militare dell’Isola, se si ragiona (raramente lo si fa ma sarebbe opportuno) di un progetto di sviluppo per il futuro sia la madre di tutte le questioni, che evoca sia il grande tema del ruolo internazionale del Paese, il senso profondo dell’art.11 della Costituzione, la questione ambientale, il diritto alla salute, la sovranità ed il diritto all’autodeterminazione delle popolazioni. Perciò è uno dei temi che finora mi ha impegnato di più.
Credo che si possa ripartire dalla relazione votata all’unanimità dalla Commissione Difesa del Senato della scorsa legislatura per sostenere le ragioni di una immediata riduzione delle servitù militari in Sardegna (il 61% del totale nazionale) e di una immediata bonifica e progettazione della riconversione delle economie locali. In altri termini la necessità di prevedere non solo la dismissione dei Poligoni di Teulada e Capo Frasca, la riqualificazione, riconversione e riperimetrazione del PISQ, la complessiva smilitarizzazione dell’Isola, ma da subito le alternative, in maniera tale che l’auspicabile “ritiro delle truppe” non coincida con l’ennesimo deserto di inquinamento e ulteriore disoccupazione.
Perciò stiamo lavorando con alcuni intellettuali ed amministratori a un progetto definito, credibile e non velleitario, rispetto al quale le dichiarazioni recenti e l’impostazione del Ministro Mauro appaiono come una narrazione ipocrita e dannosa per gli interessi dei sardi, ma anche per il ruolo che secondo noi la Sardegna e l’Italia potrebbero avere sullo scacchiere internazionale e nel Mediterraneo.

D. Gli scenari drammatici aperti dall’eventualità di un intervento militare in Siria  hanno risvegliato nei movimenti un forte sentimento pacifista  che  ha trovato espressione in diverse iniziative in tutto il mondo. A Cagliari un Sit in e un incontro con il Viceprefetto. Iniziative che non hanno trovato, come al solito, nel mondo politico e istituzionale grandi adesioni. Mentre il Papa, coraggiosamente, lancia una sfida planetaria attraverso un gesto concreto di mobilitazione, il sistema politico appare schiacciato sulle scelte americane, dimenticando i fondamenti costituzionali.
Sarebbe stata importante una presa di posizione netta, anche del suo Partito, di mobilitazione, in un momento in cui la posizione americana si mostrava debole e isolata. Come mai non c’è stata? Quali valutazioni politiche sono state fatte? Quale è la sua lettura della situazione siriana e medioorientale?

R. Assistiamo a una fase di forte arretramento della coscienza civile del Paese. La crisi economica ha frastornato le persone e le rende complessivamente meno disponibili a mobilitarsi. Tant’è vero che – salvo rari casi – non mi pare che sia riscontrabile, su un terreno così importante come la Pace, una mobilitazione di massa. Se si ripensa alla stagione della Guerra in Irak mi pare che la differenza sia evidente.
Questo stato di cose ovviamente rende più difficili i movimenti di forze politiche come la mia, che su questo terreno hanno sempre espresso una posizione politica radicalmente pacificista, orientata alla cooperazione internazionale ed alla soluzione diplomatica.
Non è corretto infatti sostenere che vi sia stata una assenza di SEL su questo terreno: in Parlamento una delle mozioni più determinate e nette contro l’eventuale intervento militare è stata la nostra, le dichiarazioni rilasciate attraverso i diversi canali di comunicazione sono state assolutamente inequivoche e – pur astenendoci sulla mozione della maggioranza – bisogna rilevare che anche il Governo (almeno a questo giro e per ragioni che non mi interessa indagare qui) ha assunto una posizione contraria all’intervento militare.
Per quanto riguarda la Siria ed il Medio Oriente noi riteniamo che non ci possa essere alcuna risoluzione dei conflitti se non si inizia un processo di rimozione delle cause sociali che lo alimentano e se non si coinvolgono tutti gli attori della regione. L’idea che si possa esportare il modello democratico occidentale attraverso la Guerra peraltro ha già mostrato in Irak e in Afghanistan il suo lato ipocrita.

D. Dopo il criticatissimo decreto Clini, del dimissionario governo Monti, che ha scaricato sulla Regione l’onere della bonifica dalla Maddalena eliminandola dal Siti d’Interesse Nazionale (SIN), un’altra legge del tutto irragionevole (ma autolesionisticamente votata dai parlamentari sardi), quella del 7 Agosto 2012 , ha conferito al governo facoltà di sanare per decreto la contaminazione militare: l’art. 35 comma 2 stabilisce che “con lo stesso decreto interministeriale sono determinati i criteri di individuazione delle concentrazioni soglia di contaminazione (…) applicabili ai siti appartenenti al demanio militare e alle are ad uso esclusivo alle forze armate, tenuto conto delle attività effettivamente condotte nei siti stessi o nelle diverse porzioni di essi.”
Chiarissime le conseguenze della modifica dei criteri di individuazione delle concentrazioni soglia di contaminazione: fare rientrare nella norma zone di inquinamento come La Maddalena e Quirra (sui cui si sta anche svolgendo l’indagine della magistratura).

Domandiamo a che punto è il decreto “salva Quirra e poligoni militari”, e che opposizione si può compattare, grazie anche al tuo contributo, per respingere quest’altro pesante attacco alla nostra terra e alla salute di chi ci abita.
R. Io trovo che lo spezzettamento sistematico del tema sia dannoso per tutti e che sia necessario riappropriarsi collettivamente di una vertenza – quella sul superamento delle servitù militari in Sardegna – che dagli anni ’80 a oggi non ha avuto più una trattazione omogenea. Penso anche che su questo terreno non ci siano solamente le opposizioni ma si possano incrociare anche settori di maggioranza e che, soprattutto, la questione debba diventare elemento fondamentale del programma di governo regionale del centrosinistra sardo.
Sul terreno nazionale i rapporti e le interlocuzioni fra noi il M5S e alcune componenti del Pd sono molto positive, ma si capisce bene che l’orientamento complessivo del governo va in senso opposto e la posizione del governo regionale è a dir poco imbarazzante. Una rinnovata mobilitazione dal basso certamente potrebbe aiutare molto.
Sulla questione delle soglie di inquinamento credo che vada condotta una battaglia esattamente opposta e che sulla individuazione delle aree contaminate vada fatto quel lavoro scientifico che finora è mancato, tanto che se da una parte si decreta la modificazione al rialzo dei parametri minimi dall’altra si è spesso esagerato autodichiarando aree SIN anche dove non c’era bisogno pur di aprirsi la strada ai finanziamenti (peraltro tutti ipotetici) per le bonifiche.
Recentemente è stato accolto un mio ordine del giorno sul tema, ma credo che fintanto che regionalmente non si produrrà una mobilitazione vera sarà molto difficile che un singolo parlamentare, per giunta di opposizione, possa sbloccare una vertenza decisiva per il futuro e che – cosa non secondaria – potrebbe produrre migliaia di posti di lavoro per decine di anni.
Si pensi solamente che le stime più benevole sull’ipotesi di una bonifica integrale indicano una cifra vicina ai 40 miliardi di euro.

D. Il tema della scuola non buca nell’informazione.  Eppure riguarda milioni di persone ;  i docenti della scuola italiana sono più di 800mila  e a questi si aggiungono i dirigenti, il personale Ata , gli amministrativi, gli studenti e le loro famiglie.  Il mondo della scuola vive un profondo disagio da circa vent’anni, acutizzatosi negli ultimi anni. Ma il mondo della politica e dell’informazione paiono non essere consapevoli, dirigendo l’interesse  quotidiano dei cittadini verso aspetti fuorvianti, quali l’abolizione della bocciatura, l’informatizzazione, o, peggio, notizie  scandalistiche isolate . E’ l’indifferenza,  la scarsa conoscenza, o una precisa volontà a creare questa disinformazione?
R. Credo che una società priva di un buon sistema formativo sia una società meno libera. La nostra – rispetto al passato – certamente lo è. È anche una società più povera, meno vitale, orientata al declino, incapace di produrre innovazione. E così è.
Elencare i punti di criticità delle riforme che si sono susseguite in questi anni sarebbe incompatibile con l’economia di questa intervista. Io credo che l’idea dello scardinamento del sistema formativo italiano sia assolutamente coerente con l’idea di società che hanno immaginato per il futuro i poteri forti: una società con meno senso critico, quindi meno libera, più condizionabile e circuibile.
Il risultato di vent’anni di riforme è sotto gli occhi di tutti e io penso che non possa esistere alcuna ipotesi di governo progressista del Paese che non preveda un Piano di rafforzamento e rilanciodel nostro sistema formativo: a partire dal riconoscimento di una professione cruciale come quella dell’insegnante e della necessità di rendere pienamente esigibile il diritto costituzionale allo studio.

D. Lei conoscerà certo “Fronte del porto” il capolavoro di Elia Kazan. Al confronto dei precari della scuola, quei lavoratori portuali avevano vita più facile. Lei immagini di trascorrere anni della propria esistenza tra graduatorie di ogni sorta, percorrere centinaia di km al giorno per acchiappare la chiamata, sopportare gli abusi e le vessazioni dei tranelli burocratici, passare l’estate tra scartoffie burocratiche, domande e ricorsi, per avere qualche mese di insegnamento, se va bene . Si avvia con gli  alunni un percorso di reciproca accettazione e riconoscimento. Ma finisce presto, non si porta a compimento il percorso, non si ritorna sulle proprie tracce  educative. Logorati e dimenticati, fino alla chiamata successiva. Anche a cinquant’anni. La tragedia del precariato può trovare però una soluzione, quale e con quali risorse economiche aldilà del battage propagandistico del Ministero sulle immissioni in ruolo ?
R. La precarietà è la vera cancrena che ha svuotato di energie la nostra società. L’incertezza sul futuro che si è prodotta in amplissimi strati di popolazione rende impensabile un rilancio del sistema economico, se con ciò si intende una crescita armonica dell’economia, sostenibile sul piano ambientale e sociale. Perciò serve una politica che torni a mettere in campo una idea di redistribuzione del reddito.
Su questo terreno, senza inoltrarsi sul terreno della demagogia, trovo piuttosto semplice enunciare almeno due ambiti nei quali andare a recuperare le risorse – anche – per un percorso di stabilizzazione dei lavoratori della scuola: in primo luogo una tassa sui grandi patrimoni immobiliari e finanziari che si sono accumulati in un ventennio nel quale lo spostamento del reddito dal lavoro al capitale è stato colossale. Modiano, economista certo non in odor di bolscevismo, ha recentemente proposto una formulazione che io trovo assolutamente credibile.
Per riconoscere il secondo ambito sul quale operare una “spending review” sociale lo si può rinvenire nei bilanci della Difesa (l’unico cresciuto negli ultimi anni al ritmo di oltre 2 miliardi l’anno), riscontrando quanto si è speso per missioni militari come quella in Afghanistan e registrando quanto si investe in sistemi d’arma (f35 ma non solo). Se poi si volessero pure colpire i veri sprechi del Paese, come ad esempio la corruzione e l’evasione fiscale e contributiva, magari si potrebbe scoprire che questo Paese non è poi così povero come si vuol dare ad intendere.

D. I Cobas hanno  una posizione molto critica sull’autonomia scolastica che ha istituzionalizzato la competizione fra le scuole, secondo un modello privatistico.  Dal 2000  la qualità della scuola pubblica Italiana è peggiorata progressivamente ma non esiste una verifica seria degli effetti della riforma che ne possa individuare le criticità.
Lei è uno dei sostenitori dell’autonomia scolastica  o  si pone degli interrogativi critici?

R. Nel 1994 – da studente universitario – mi ritrovai a contestarla in maniera radicale: non ho cambiato idea. Credo che sia stato il principio del declino. Peraltro ci troviamo di fronte a una idea ben strana di autonomia scolastica, contraddistinta da un impatto devastante prodotto da riforme centralistiche che hanno svuotato persino il senso positivo che essa poteva assumere.
Peraltro è da tempo che rifletto sulla straordinaria incapacità della politica (e del sistema Paese in generale) di riconsiderare le scelte fatte nel passato, di prendere atto delle scelte che non funzionano e tornare sui propri passi.
Persino quando una Riforma mostra – alla prova dei fatti e dell’evidenza – la palese contraddizione dei propri obiettivi non trovi nessuno disponibile ad ammetterlo. Eppure stiamo parlando dei primi anni ’90, quindi di un tempo assolutamente congruo per tracciare un bilancio compiuto.

D. L’inviolabilità del  sistema Europa non è più un tabù, anzi è ormai percepito piuttosto  come un orrendo Moloch che richiede  un prezzo insostenibile per i cittadini dei paesi che definiremmo per intenderci “sud” o pigs. Fra i problemi che l’adesione al trattato di Lione e poi di Lisbona pone, vi è il finanziamento attraverso i progetti ;  statali , regionali, comunali, alle imprese, alla scuola. Il progetto nasce già indirizzato verso i  modelli sociali  e culturali  dell’economia neoliberista . “il ruolo principale della scuola, non è più trasmettere saperi, ma piuttosto assicurare l’accesso a certe competenze. Si tratta, di dare la priorità allo sviluppo delle competenze professionali e sociali, per un migliore adattamento dei lavoratori alle evoluzioni del mercato del lavoro » [CCE 1997].  Gli indirizzi di politica scolastica, orientati alla selezione, alla valutazione, alla produzione, sono modelli  incompatibili con una scuola pubblica così come concepita dalla nostra Costituzione. I Docenti lo chiamano progettificio .
Noi riteniamo che andrebbe abbandonato il sistema dei progetti.
Lei  pensa che valga la pena di definire un nuovo sistema di finanziamento  adeguato al diritto all’Istruzione?

R. Certamente. L’ho detto e lo ripeto: il ruolo del sistema formativo è decisivo e senza trasmissione di saperi – a mio avviso – non è nemmeno pensabile sviluppare adeguate competenze professionali. Perchè i due elementi separati producono innanzitutto una sterilità nella produzione di idee per l’innovazione. L’eccesso di specializzazione determina una decrescità del tasso di creatività. Eppure noi siamo per lungo tempo stati il Paese degli inventori. Oggi cosa siamo in grado di inventare, se nemmeno investiamo nella ricerca scientifica?
L’Europa va complessivamente ripensata: perchè così com’è rischia il collasso ed io credo che il collasso dell’Europa rischi di essere il terreno di un ulteriore arretramento di tutti.
Ovviamente così com’è non va. Ed anche per questo penso che la sinistra dovrebbe avere, anche qui in Italia ed in Sardegna, la capacità di immaginare una nuova formula: gli Stati Uniti d’Europa, l’Europa dei popoli, di un nuovo welfare e di una politica di Pace e cooperazione internazionale.

D. Centinaia di coordinamenti in tutta Italia, associazioni di genitori, comitati studenteschi , organizzazioni sindacali non firmatarie, ma molto rappresentative,  chiedono di poter partecipare alle scelte di politica scolastica, alla definizione delle riforme. Nessun Ministro della Pubblica Istruzione , nessun governo ha mai seriamente considerato le istanze spesso drammatiche che arrivano da queste articolazioni democratiche.
La legge Bassanini che ha quasi eliminato i diritti di rappresentanza e di potere negoziale è stata addirittura peggiorata dall’accordo del 31 maggio tra Confindustria, Cgil, Cisl, Uil e Ugl. Si va verso il divieto di sciopero e la privatizzazione della rappresentanza.   Ma il tasso di sindacalizzazione rispetto alle OO.SS  firmatarie ,  nella scuola è in netta flessione (ARAN) e le cifre reali appaiono piuttosto ballerine.

Lei ritiene che il mondo della scuola debba essere coinvolto nei processi di riforma e in quali modi?

R. Io penso che il nostro sistema democratico rappresentativo versi in una condizione di profondo logoramento. E questo logoramento riguarda la rappresentanza istituzionale, quella politica, quella sindacale.
L’origine di questo fenomeno è la profonda trasformazione che la nostra società ha subito nell’ultimo ventennio: i processi di precarizzazione e il mutamento strutturale del mercato del lavoro, l’impoverimento generalizzato della popolazione, la crisi delle appartenenze, una insicurezza sociale che è ha aggredito la psicologia profonda degli individui, la trasformazione-accelerazione potente del sistema della comunicazione (telefonini, internet, social network) hanno impattato in maniera dirompente sui meccanismi che hanno segnato per cinquant’anni lo svolgimento del dibattito pubblico e del processo decisionale, le relazioni sociali e la dimensione delle parti in causa sui singoli temi.
Penso che serva un processo di colossale rigenerazione del sistema democratico, che non può che passare attraverso forme – anche istituzionalizzate e regolate per legge – di partecipazione democratica. E su questo terreno esistono diverse esperienze, da tempo in campo in numerosi Paesi, che hanno dato prova del fatto che una società funziona meglio, recupera coesione e riduce le componenti negative di una conflittualità caotica, se compie lo sforzo dell’ascolto, della mediazione, del processo decisionale partecipato.
Per questa ragione generale trovo che coinvolgere il mondo della scuola vada coinvolto e messo nelle condizioni di concorrere a comporre le decisioni e il profilo della Riforma.

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