SALO’ DEL LIBRO (non è un incidente, è un precedente) di Gian Luigi Deiana

La questione dei fascisti al salone del libro di Torino non è affatto una questione di disposizione volterriana (“non sono d’accordo con la tua posizione ma mi farei uccidere perché tu la possa esprimere liberamente”), in quanto la disposizione volterriana è già abbondantemente soddisfatta dal fatto che ci sono giornali fascisti, editori fascisti, artisti fascisti, circuiti culturali fascisti ecc. e nessuno impedisce che ci siano; per di più, se io g.l.d. avessi a cuore lo scrupolo del libero confronto, nessuno mi impedirebbe di praticarlo, in rete, in biblioteca o al bar.

Ma: se il confronto può liberamente avvenire in rete, in biblioteca o al bar, perché non deve poter avvenire al salone del libro?

Per una questione estremamente semplice: perché vi è un salto di piano tra il “discorso privato” e il “discorso pubblico”; il “discorso pubblico” non soggiace affatto alla massima di voltaire, e non vi soggiace per il fatto che il discorso pubblico, se da un lato deve stare attento a non bloccarsi nella fobia di pericoli immaginari (per es. i gay o i testimoni di geova) dall’altro deve stare attento a non aprire i varchi ai pericoli reali (per es. le cosche o le scommesse clandestine).

Facciamo qualche esempio: la pedofilia non è solo una questione di tendenze sessuali private, è anche un problema reale di interesse pubblico; nessuno vieta che se ne faccia materia di conversazione tra privati, ma sarebbe difficile accettare di rendere disponibile uno stand di una manifestazione nazionale, per esempio il salone del libro o lo zecchino d’oro, per la divulgazione culturale delle pratiche relative e del relativo mercato; si traccia un limite, esattamente come per la propaganda del terrorismo, della discriminazione razziale, ecc..

Un limite è sempre una limitazione, cioè è l’attestazione istituzionale del fatto che la società civile che ne è teatro necessita di una profilassi immunitaria, deve cioè essere consapevole della propria necessità di anticorpi rispetto a patologie infettanti che ne determinerebbero la sua stessa negazione, ne determinerebbero cioè il passaggio allo stato di società incivile (una società che nega la libertà civile e l’uguaglianza dei diritti umani propri della società civile stessa).

La costituzione italiana oggi vigente, scritta sulle rovine di una lotta mortale contro il fascismo, è appunto l’attestazione istituzionale di questa perdurante estromissione del fascismo dal “discorso pubblico” proprio della società civile, “questa” società civile: questa, con le sue scuole pubbliche, le sue università pubbliche, le sue manifestazioni culturali pubbliche ecc..

Da parte del fronte escluso, protetto da populisti razziali e sovranisti patriottici, si manovra da sempre per una penetrazione tecnicamente parassitologica: incubarsi in un varco meno blindato e parassitarne una parte piccola a piacere; se questo passa per legittimo o anche interessante una prima volta, poi ci sarà inevitabilmente un secondo passo: le trasmissioni di grande ascolto, le assemblee scolastiche, i dibattiti parlamentari ecc., ovvero un percorso di sdoganamento attraverso il quale il fascismo può essere progressivamente inteso come “normale”.

Parassitamento, legittimazione, normalizzazione; e per converso demonizzazione del rom, disprezzo del nero, espulsione del migrante; silenzio col sorrisetto sul turismo sessuale in thailandia, grandi striscioni di brucerete nei forni alle curve degli stadi.

Questa è la bestia: oggi essa è famelica perché vi è una vastissima area sociale che ne richiama il pascolo, quella che Primo Levi chiamava la zona grigia; ma il “discorso pubblico” non può, in un passaggio storico simile, farsi grigio anche lui.

Sono solidale con zero calcare che semplicemente se ne è andato, e che oggi vi ritorna dopo aver vinto la sua e la nostra battaglia.

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