Cambiare la scuola, ma come ? – di Antonella Piras –

Accettare il ricatto di un aumento dell’orario facendo finta che il lavoro fatto a casa ci venga riconosciuto e pagato da questo governo è come credere alla strega di Biancaneve. Una volta accettato l’aumento dell’orario,  pensiamo davvero  di avere a  disposizione  lo studio personale attrezzato per fare le ricerche, preparare le lezioni, correggere i compiti, col  pc, i libri ecc?
Se l’intento è il contenimento della spesa e contemporaneamente la qualità della scuola, che senso avrebbe per il governo Letta  aumentarci il salario con l’aumento dell’orario di servizio, tagliandoci  la progressione di carriera e gli scatti di anzianità, bloccando i contratti?
Non risolvere il problema del precariato, anzi aggravarlo  indicendo nuovi concorsi fine a sé stessi senza la consistenza dell’immissione in ruolo?
Aumentare la conflittualità tra personale e dirigenza, aumentando il potere di quest’ultima,  svuotando i contratti nazionali ,  favorendo la contrattazione  integrativa su fondi  miseri?
Impoverire  i contenuti  eliminando intere classi di concorso?
Privatizzare la formazione professionale  radendo al suolo gli istituti professionali?
Aumentare il numero degli alunni per classe?
Se l’intento fosse davvero elevare la qualità del nostro lavoro, la qualità della scuola pubblica, comincerebbero a finanziarla davvero e direttamente.
Non attraverso le forme perverse dei progetti, che arricchiscono pochi, peggiorano la qualità della didattica con  i docenti impegnati nei progetti  che trascurano le classi, impongono i contenuti didattici impostati dall’ente erogatore, limitando la libertà d’insegnamento. Abbiamo  idea della quantità di denaro che si muove sui progetti contro l’abbandono scolastico? Se analizzassimo  seriamente le ricadute reali di tali progetti ci  renderemmo  conto della loro inutilità.
Se l’intento fosse migliorare la qualità della scuola pubblica
1) Migliorerebbero  l’edilizia  e le condizioni materiali delle strutture.
2) Aumenterebbero il nostro misero salario.
3) Ci metterebbero nelle condizioni di aggiornarci e formarci
4) Doterebbero seriamente le scuole di laboratori scientifici, informatici, linguistici, musicali e di impianti sportivi e informatizzerebbero seriamente le scuole e ci doterebbero di studi personali (intesi come spazi fisici)
5) Ci coinvolgerebbero nella scelta dei programmi, dell’organizzazione della didattica e dei risultati attendibili.
6) Risolverebbero il problema del precariato
7) Risolverebbero il problema della formazione dei docenti in ambito universitario.
8) Restituirebbero alle scuole professionali la formazione lavoro.
9) Ridurrebbero il numero degli alunni per classe
10) Restituirebbero al Collegio dei docenti le sue prerogative, compresa la scelta dei collaboratori, le decisioni sulle scelte didattiche smontando ciò che è divenuto negli ultimi 15 anni, cioè una sterile comunicazione della volontà del dirigente.
11) Restituirebbero valore al contratto nazionale, rintroducendo gli scatti di anzianità e la progressione di carriera.
12) Ci manderebbero in pensione ad un’età decente e non quando la maggior parte di noi ha segni avanzati di alzheimer .
Non credo che realisticamente questo elenco sia tutto realizzabile subito, ma almeno provassero a realizzarne una parte, e poi si potrebbe discutere di orario di lavoro. Il resto è propaganda di regime.
Nelle politiche governative seguite costantemente negli ultimi decenni e condivise dai sindacati concertativi, si può intravvedere un disegno preciso: dividere la categoria dei docenti in peones che insegnano nelle classi (anche nove, come me) e i progettisti e creativi e superpagati

Antonella Piras

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