MEMORISMO E NEGAZIONISMO l’olocausto e la miseria del tempo presente – di Gian Luigi Deiana

MEMORISMO E NEGAZIONISMO
l’olocausto e la miseria del tempo presente

il settantacinquesimo anniversario della liberazione del campo di auschwitz ha prodotto effetti sorprendenti, tutti negativi, che possiamo ridurre a tre tipi: il primo, l’affidamento della giornata della memoria a luoghi comuni e alla illusoria sufficienza di figure di ampia popolarità testimoniale o istituzionale, quali quella di liliana segre o di sergio mattarella; il secondo, la grande giostra di argomenti collaterali, pur fondati ma devianti e diversivi, concernenti sia la tematica planetaria degli internamenti e dei genocidi che la politica israeliana in cisgiordania e a gaza; il terzo, quello decisamente più preoccupante, la registrazione eurispes di un tendenziale negazionismo di massa in italia sulla realtà storica dello sterminio, su quanto avvenuto cioè tra il 1942 e il 1945;

per rendere più semplice il ragionamento mi riferirò al primo tipo denominandolo “memorismo”, al terzo tipo denominandolo “negazionismo” e all’area di mezzo denominandola “tavolo degli argomenti ping pong” o comunque campo da gioco, laddove non vi sono propriamente regole, non vi è arbitro e si gioca contemporaneamente con molti e diversi palloni argomentativi e palline di disturbo; è invece chiaro che i principali giocatori in partita sono proprio loro, il “memorismo” e il “negazionismo”;

personalmente odio i negazionisti, i quali in realtà sono più propriamente degli affermazionisti: negando l’olocausto essi infatti affermano la positività di fondo dei fascismi e io odio i fascisti; viceversa amo i memoristi, anche se ritengo tragicamente sbagliata la loro pretesa di ridurre la storia a una simile partita di convincimento umorale; quindi in quanto cittadini e in quanto uomini di buona volontà non abbiamo scampo: dobbiamo uscire da questa mefitica partita e studiare le cose all’aria aperta, ogni santo giorno senza specialismi particolari per le giornate di commemorazione; queste sono certamente eticamente doverose, ma ad una condizione, venendo meno la quale si trasformano in trappole etiche e in disarmo storico;

l’effetto trappola ovvero l’effetto disarmo del giorno della memoria sta nel fatto che ricordare senza sapere è insensato; ripeto: “ricordare” senza “sapere” è insensato; si può obiettare che tutto quello che vi è da sapere si sa, in particolare che l’olocausto ha fatto sei milioni di vittime (massimamente ebrei, e poi rom e sinti, omosessuali, oppositori, asociali ecc.); che questo lo si sappia davvero diffusamente è da verificare, ma il problema non è questo: il problema è che “sapere” è a sua volta inutile, senza propriamente “capire”; quando c’è una vittima, è certamente importante ricordare, a condizione che si sappia di chi l’ucciso è stato vittima e cioè chi è l’assassino; ma se davvero il proposito consiste nel fine etico di impedire che il delitto abbia a ripetersi, è necessario “capire” il delitto dal punto di vista dell’assassino: entrare nella sua logica e quindi nella sua abominevole “necessità”;

a questo punto siamo in grado di chiederci cosa davvero abbiamo “capito” del nazismo, se il riscontro di un sondaggio sulla coscienza pubblica (oggi la ricerca eurispes) ci spaventa ora così tanto; cosa siamo riusciti a capire dalle centinaia di ore di documentari televisivi sulle depravazioni di hitler o sulla paranoia di goebbels o sull’efferatezza di mengele; cosa siamo davvero riusciti a capire su “come è potuto accadere”, e come sia accaduto col consenso di uno dei popoli più centrali e decisivi della storia europea; forse non abbiamo capito quasi niente, e nella misura in cui questo è vero, diventa una zavorra inutile tutto quello che sappiamo e diventa una ricorrenza vuota un giorno all’anno per ricordare;

vorrei qui, come si trattasse di un’aula di scuola o di una conversazione pubblica, indicare quelli che per me sono tre punti essenziali: la filosofia tedesca nel primo novecento, la componente ebraica nella società tedesca nel primo novecento e la strategia hitleriana negli anni del nazismo;

1: la filosofia tedesca muta drasticamente di segno nel cinquantennio che corre dall’unificazione della germania (1870) alla prima guerra mondiale(1920); si dissolve la grande eredità umanistica (kant, hegel, marx) e si polverizza il principio etico dell’imperativo morale e quindi dell’universalità umana; al suo posto si consolida il principio del “valore” nazionale, così come ogni comunità razziale di suolo e di sangue ha avuto la forza di erigerlo nella sua specifica storia; quando queste tesi, che assumono il carattere di una vera precipitazione irrazionalistica, venivano formulate e reiterate nelle università, nei circoli giovanili e sulla stampa popolare hitler non era ancora nato; la lotta fra queste tendenze e quelle opposte, ovvero quelle derivate da hegel e marx, fu conclusa di fatto con la liquidazione violenta del movimento spartachista e dei suoi eroi, appunto intorno al 1920; l’epurazione nell’ambito della cultura selezionò così quella macchina intellettuale, indispensabile alla quadratura di una egemonia totalitaria sulla società, che di lì a poco si disporrà a offrire al nazismo le sue omissioni e a rendere poi i suoi servizi;

2: la società tedesca muta fortemente i suoi connotati nell’arco del medesimo cinquantennio, 1870-1920, soprattutto per effetto dell’unificazione statuale, burocratica e militare, per effetto della grande industrializzazione moderna e per effetto della rapida urbanizzazione; la componente ebraica, fino a quel momento prevalentemente rurale, recepisce in modo ancora più forte la spinta alla vita urbana, laddove va ad occupare spazi sociali e professionali molto definiti, confacenti all’alto grado di alfabetizzazione: università, giornalismo, avvocatura, libere professioni e attività commerciali in genere; è qui che dobbiamo stare attenti: in termini statistici, quale era la consistenza numerica della popolazione ebraica? come si caratterizzava l’integrazione parentale con la consuetudine familiare tedesca, per esempio per via di matrimoni misti? bene: il censimento del 1925 censisce in meno di seicentomila gli ebrei residenti in germania, cifra corrispondente all’1 per cento della popolazione: ripeto, meno di seicentomila, ovvero l’1 per cento della popolazione; registra poi che i matrimoni misti, non rari, generalmente legavano parentele ebraiche di classe abbiente con parentele tedesche di rango aristocratico, cosa che evidenzia la scarsa integrazione interfamiliare nell’ambito delle classi popolari, cioè quelle che con la crisi successiva alla prima guerra mondiale e alla crisi economica del 1929 diventeranno il ventre di massa del nazismo;

3: la domandina seguente è ora cruciale ed infantilmente semplice, quindi finché riterremo impossibile che possa essere posta anche da un bambino di quinta elementare non ce ne faremo niente di niente di milioni di giorni della memoria, immagini di scheletri in vestiti a righe e moniti di presidenti della repubblica, niente; essa è: ma se gli ebrei tedeschi erano seicentomila, come mai le vittime dell’olocausto sono computate in sei milioni? è un dovere che ciascuno provi a cercarsi una risposta, perché è attraverso questa domanda e questa risposta che possiamo passare dal “sapere” al “capire”, cioè entrare nella logica dell’assassino e nella sua allucinata “necessità”; e possiamo capire, di qui, che per evitare che quel passato possa ripetersi è indispensabile che quell’automatismo della “necessità” venga individuato ogni volta che esso viene di nuovo innescato, in ogni parte del mondo;

dunque, se gli ebrei tedeschi erano meno di seicentomila, come mai le vittime ebree dello sterminio sono state quasi sei milioni? e se rom e sinti tedeschi erano meno di quindicimila, come mai le vittime dello sterminio rom e sinti sono computate in cinquecentomila? per capire questo dobbiamo prima considerare il programma di politica razziale enunciato da goering a febbraio del 1933 nella città di essen, riguardante i provvedimenti immediati a carico degli ebrei tedeschi (interdizioni professionali, interdizioni matrimoniali, eccezioni per le situazioni di fatto che coinvolgevano anche famiglie dell’aristocrazia tedesca, ecc.); si era appena all’indomani della nomina di hitler alla carica di cancelliere e i primi lager non erano destinati specificamente ad ebrei, cosa che invece si spalancò nel 1935 con le leggi di norimberga; dobbiamo però considerare e comparare, poi, il programma di sterminio razziale totale (la cosiddetta soluzione finale) messo a punto esattamente nove anni dopo, cioè nel gennaio 1942 alla conferenza di wansee; la conferenza di wansee riuniva il cerchio magico del fuhrer (goering, heydrych, himmler ecc.) nel momento in cui la campagna di guerra scatenata su tutto l’oriente europeo aveva ormai investito anche la russia; fu così che che il conto presunto degli ebrei da sterminare “in europa” raggiunse la cifra virtuale di 11 milioni, metà dei quali, come sappiamo, furono uccisi davvero; e furono uccisi, va sottolineato, esattamente in questo brevissimo arco di tempo, 1942-1944, mille giorni per uccidere e incenerire sei milioni di uomini: come è potuto accadere?

se immaginiamo il continente europeo mappato con la germania al centro e due cerchi ad essa concentrici possiamo capire che nel primo cerchio si situano paesi non slavi che, dal punto di vista economico e strategico, nel 1942 possono essere considerati satelliti dell’economia tedesca: italia, francia, ungheria, romania, bulgaria; in presenza di un sistema finanziario collassato il rapporto di interscambio con questi paesi è sgravato dallo scambio monetario e praticato merce contro merce ovvero merce contro debito, con la condizione non detta che una germania militarmente imbattibile o occupante non pagherà alcun debito o addirittura farà pagare alle nazioni occupate il costo delle stesse truppe di occupazione; il cerchio esterno è invece l’europa slava (polonia, russia, jugoslavia ecc.) che la strategia proiettiva prevede di destinare alla disposizione totale di materia prima, mineraria e agricola, e di schiavizzare; l’intensa presenza di popolazione e di professionalità ebraiche in queste società ne impone l’eliminazione con una tempistica massimamente accelerata, anche con l’ausilio propagandistico delle pulsioni antisemite latenti e manifeste in questi paesi soprattutto tra le classi popolari; è così che passiamo in meno di dieci anni dal programma di apartheid di essen 1933, di riferimento tedesco, al programma di sterminio di wansee 1942, di riferimento continentale; è qui che si coglie la “necessità” moltiplicativa del razzismo hitleriano;

ora, se vogliamo dare un nome a questo genere di strategia politica, propria dell’età contemporanea, non esclusiva dell’hitlerismo, e che non necessariamente deve implicare condizioni così abissali, l’unico termine di cui disponiamo nel linguaggio storico è il termine “imperialismo”; se passiamo ad esaminare cosa siano gli imperialismi, ieri e oggi, ovviamente stiamo abbandonando l’attenzione ai primi due giocatori della nostra partita, cioè il “memorismo” e il “negazionismo”, e stiamo invece entrando in quel variegato campo in cui ballano molti e diversi palloni, nessuno dei quali è innocente: nessuno; è qui che troviamo innumerevoli altri delitti, innumerevoli decreti sicurezza e leggi di apartheid, e molti veri e propri genocidi ciascuno coi suoi pochi memoristi e i suoi numerosissimi negazionisti; e ovviamente provocazioni o stupidaggini del tipo “e allora le foibe?”, oppure “e allora la corea del nord?”, ovvero “e allora il sudafrica?”, “e allora la palestina?”, e poi i nativi americani, e poi gli aborigeni australiani, eccetera; argomenti certamente fondati in quanto riguardanti situazioni gravissime, ma in genere strumentalmente diversivi rispetto alla shoah; tuttavia, è questo campo minato di memorie mal fatte e di negazioni selvagge, grande quanto tutta la terra e abissale quanto può esserlo la stupidità umana e la facilità della menzogna, è questo il campo minato entro il quale, se si rinuncia alla necessità di capire, chi non ha davvero il coraggio di ricordare il passato è destinato a riveverlo; non lontano, appena fuori di casa, non appena il rancore vede nel migrante o nell’asociale la ragione del suo male.

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