BREVETTO, INTELLETTO MALEDETTO vent’anni dopo: i fantasmi – di Gian Luigi Deiana

BREVETTO, INTELLETTO MALEDETTO
vent’anni dopo: i fantasmi
di Gian Luigi Deiana

Vent’anni dopo.

Nei giorni caldi di luglio si tenne a Genova l’assise mondiale della cupola liberista, nota a tutti come G8.

I governi italiani deputati a fare gli onori di casa, cioè il governo Amato nel 2000 e il governo Berlusconi nel 2001, cioè centrosinistra e centrodestra in armonica successione, giunsero a livelli di prostituzione politica e di organizzazione militare senza precedenti di tale portata. Predisposero ed effettuarono con cura la pratica della lotta armata contro chi, non potendosi di fatto ribellare, semplicemente protestava.

Il 21 luglio, in piazza Alimonda, fu assassinato Carlo Giuliani, centinaia di persone furono massacrate per rappresaglia, centinaia di migliaia insultate e offese senza limite di menzogna.

Era il trionfo dogmatico e militare di quello che da allora sarebbe stato chiamato neoliberismo: teorizzato fin dagli anni cinquanta dalla scuola economica di Chicago, congelato fino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, scongelato dal reaganismo, consacrato con la nuova organizzazione mondiale del commercio nota come WTO, condiviso dalla nuova ampiezza dell’Unione Europea, effettuò a Genova in mondovisione il suo rito sacrificale.

Tre dogmi oggi sono stati messi in discussione: solo marginalmente, ma in maniera sufficiente a scatenare la psicosi del sacrilegio.

Infatti la Borsa, depositaria del sancta sanctorum, ha immediatamente reagito coi suoi vessilli da guerra santa.

È successo dapprima in sede UE con la richiesta pressante di provvedimenti finanziari eccezionali, nella prima devastazione della pandemia.

Oggi conosciamo questa vicenda come Recovery Fund: non una nuova rotta, ma semplicemente un paracadute davanti al rischio di un totale disastro.

Ma il dogma (la privatizzazione di ogni relazione sociale, e quindi il divieto assoluto di interventi di Stato persino nelle conseguenze economiche delle catastrofi) per la prima volta è stato scalfito.

Il secondo dogma, consistente nella cancellazione degli obblighi fiscali per le grandi multinazionali e quindi della giostra demoniaca dei “paradisi” fiscali, è stato fuggevolmente evocato dal neopresidente USA Joe Biden, con l’auspicio di una generale ridiscussione.

Solo un auspicio, ma immediatamente dannato come una bestemmia radicale.

Solo un auspicio: eppure è questo demonio, per esempio, che partorisce di continuo la chiusura di grandi fabbriche in funzione della loro delocalizzazione in luoghi di bassi salari e tassazione inesistente.

Il terzo dogma riguarda la dottrina fondamentalista (più o meno nel senso dell’ISIS), che tutela i brevetti.

Problema sollevato ancora da parte di Joe Biden, il cui contraltare resta tuttavia l’Unione Europea e soprattutto la roccaforte centrale del sistema  ovvero Berlino.

Ora, a parte le sconcezze propriamente demoniache dell’organizzazione giuridica mondiale dei brevetti (come ad esempio la sottrazione di sementi rare in paesi poveri e la loro brevettazione da parte delle big dell’agricoltura o come la mercantilizzazione strenua della composizione farmacologica anti-aids anche in paesi allo stremo) l’opposizione di Berlino anche solo alla temporanea sospensione dei diritti di brevetto relativi ai vaccini nell’emergenza mondiale della pandemia è motivata dall’intangibilità della “proprietà intellettuale”.

La “proprietà intellettuale”, la sacra eucarestia deputata a tenere eternamente in ginocchio tutto il resto dell’umanità.

È stato dunque ancora una volta Joe Biden a porre il problema, pressato alle spalle da una nuova vita della sinistra americana e pressato alla  fronte dalla sostanziale estromissione di almeno metà delle nazioni del mondo dall’accesso ai vaccini anticovid.

Lo sanno tutti che se anche solo alcune parti del mondo restano senza protezione vaccinale anche tutto il mondo già vaccinato rischia di tornare a breve nella bufera.

Lo sanno tutti, eccetto il dogma della “proprietà intellettuale”: chiediamoci appena cosa è “la proprietà”, e cosa è “l’intelletto”.

Se la proprietà non sia altro che la cima di un iceberg fatto sempre di carne umana nell’immensa e incommensurabile parte sommersa, e se abbia senso la semplice idea di un “intelletto” di esclusivo merito e proprietà del corpo individuale che lo possiede.

Questo è il demonio di tutte le bibbie, questa è la legge economica totalitaria di fronte a cui persino la crudezza delle sharie appare un catechismo di buona condotta per i bambini.

La “proprietà intellettuale” assunta come principio, a sua volta, da un elementare punto di vista filosofico si pone come fondante rispetto a ogni pedagogia, con la conseguenza automatica di una psicologia paranoica delle competenze e di una funzionalizzazione della scuola e dell’università’, che sono una proprietà e una funzione pubbliche, al puro interesse privato e alla sua giungla: cioè un integrale rovesciamento di funzione.

Ma questo non è intelletto, questa è demenza.

Il virus che danza ora tra noi si sta rivelando in realtà come un biglietto di avviso sulla disumanità e sulla stupidità estrema di tutto questo.

Non lo avremmo mai voluto con noi, ma tuttavia è venuto.

Noi, chi?

Noi, i fantasmi di Genova, dove a breve dovremmo tornare.

Al porto, alla collina, a piazza Alimonda.

La storia cammina.

 

 

 

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