NUMERI
Contabilità e incontabilità della morte nell’informazione di guerra.
di Gian Luigi Deiana
9 marzo 2022
Darsi ragione dei numeri, sulla scena di milioni di storie individuali esposte al gioco di dadi della distruzione, comporta per la mente un passaggio sulla vertigine; e tuttavia questo va fatto e va fatto in proprio, poichè proprio questo, la vertigine di ciascuno, è l’oggetto di massa dell’informazione di guerra: propriamente, è l’oggetto della verità e della menzogna in senso extra-morale.
Per sua natura la morte non è contabile, in quanto in essa uno è tutto e la mia singola morte è con me lo spegnimento integrale del mondo: “il mondo” è infatti, in prima e ultima istanza, la mia percezione e la mia coscienza di esso.
E’ per questo che lo spegnimento di un individuo, uno solo, è lo spegnimento del suo tutto.
Per questa ragione fare operazioni di aritmetica sul morire dell’uno o dei molti è propriamente blasfemo, a prescindere dalla verità o falsità del conto.
Ma: la contabilità della guerra non è solo blasfema, è anche consapevolmente alterata e alla bisogna anche cinicamente falsa.
Questa condizione ci impone quindi di azzardare proprio ciò che non si deve fare: andare sulla vertigine e contare, e portare l’informazione di guerra al tribunale della possibile verità.
Non per un puntiglio di aritmetica, ma per il fatto che la produzione di una aritmetica faziosa e sensazionale, oggi, ne evoca e ne predetermina la realtà, domani: ogni guerra infatti, una volta innescata, procede di suo muovendo i propri automi, e può farlo proprio in forza delle alterazioni che essa ci tenta di fare.
Nella vertigine non è mai chiaro se siano gli uomini a controllare e muovere la guerra, o se sia la guerra a controllare e muovere gli uomini.
La contabilità, fredda quanto la morte, sa essere precisa, controllabile e pubblica: per esempio la lunga scena della pandemia ha indotto tutti gli istituti deputati a statuire nel mondo intero protocolli di conto uniformati, capillari e quotidiani.
Al contrario, la breve scena della guerra in Ucraina ha indotto tutte le agenzie più influenti a oscurare il conto reale e a sostituirlo con shock comunicativi, aloni di eroismo e aloni di demonizzazione; ma gli aloni non illuminano affatto la ragione, mentre la inebetiscono nel suo sonno: ed è questo sonno che, ora dopo ora, trasforma quegli aloni oggi fluttuanti in mostri reali domani.
Si pone perciò, ineluttabilmente, il passaggio nella vertigine e nel suo territorio blasfemo: mi vergogno quindi a proporre alcuni numeri riguardanti specificamente l’Ucraina, numeri che mi pongono perplessità e che nella loro proporzione vorrei mi fossero spiegati.
Pandemia: l’Ucraina ospita una popolazione di circa 45 milioni di abitanti, corrispondente a tre quarti della popolazione italiana.
Il covid ha prodotto circa 6 milioni di contagi e 112.000 morti in 700 giorni: ovvero 160 morti al giorno.
Per fare un paragone vicino, la Bielorussia conta 9 milioni di abitanti e fino ad oggi sul fronte covid 6.000 morti, cioè 9 morti al giorno.
Nella proporzione demografica, le vittime di Covid in Ucraina sono state il quadruplo di quelle registrate in Bielorussia.
Questa stratosferica differenza, se è reale, può essere rapportata forse alla attenzione o alla trascuratezza della campagna di vaccinazione: l’Ucraina ha vaccinato in due anni di Covid circa il 35 per cento dei suoi abitanti, cioè un terzo della popolazione, probabilmente la più bassa percentuale in Europa.
Una perplessità sull’immagine esaltante ed eroica del suo Governo in qualche modo si pone.
Guerra: i dati ONU sulle vittime civili della guerra in Ucraina registrano alla data dell’8 marzo, tredicesimo giorno, 406 morti e 801 feriti: tra i morti 27 bambini.
Il conto protocollare dei decessi Covid comprensibilmente non è stato aggiornato e solo Dio sa in quali condizioni si compiano le agonie di quegli ammalati, ma la contabilità registrata dalle Nazioni Unite, cioè l’ONU, ci dice che sul fronte guerra in 13 giorni vi sono state in Ucraina 35 vittime civili al giorno, e sul fronte pandemia 160 vittime covid al giorno.
L’agenzia ONU che produce le registrazioni sottolinea che i dati da essa prodotti riguardano le vittime accertate, e che il numero reale potrebbe essere certamente più elevato: ma qui si pone un problema.
Perchè i mezzi di informazione, impegnati in un volume di interpretazioni così incessante e così saturo di esperti, non dà anche il conto dei numeri e non azzarda mai una confacente interpretazione di essi?
Allora io provo ad arrangiarmi da me: io ritengo che, sfrondato dal sensazionalismo e rapportato alla indubitabile quota di distruzione, il numero della vittime civili sorprende, almeno se lo si rapporta ai risultati ben più spaventosi dei bombardamenti chirurgici delle guerre analoghe recenti.
E sorprende ancora di più se si riflette sul fatto che, a fronte della incessante fabbricazione mediatica della resistenza popolare in Ucraina, non si ha alcuna chiarezza su dove e come sia disposto l’esercito ucraino vero e proprio: se esso davvero stia combattendo secondo una riconosciuta catena di comando oppure un po’ sì e un po’ no o stia aspettando.
Non credo che i russi riservino per la vita dei civili una maggiore premura di quanto abbiano saputo o voluto fare i loro corrispettivi della Nato e in specie le loro fotocopie americane.
Può anche essere, tuttavia osservo che potrebbero aver scelto finora addirittura di risparmiarsi, e che potrebbero da domani in poi non risparmiarsi più, se non si apre seriamente la via negoziale: ma se questa preclusione non la vogliamo, allora non la dobbiamo evocare.
Non dobbiamo desiderare il peggio solo per la vanesia soddisfazione postuma dell’aver avuto ragione ad averlo detto da prima.
Quindi, tutti noi dobbiamo esigere una proporzione fra l’enfasi dei format comunicativi e la contabilità orientata alla soluzione diplomatica.
Vi sono in campo assurde rincorse nelle gerarchie dei media a chi la spara più grossa: ma vincere la guerra del falso significa perdere la guerra del vero.
E dunque, chi è senza peccato?