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Palestina: in un paese occupato l’assedio è costante – di Rosalba Meloni

palestina-1Ho visitato diversi campi profughi palestinesi in Libano e, qualche anno fa, sono stat in Palestina, in Cisgiordania.

Ho così potuto vivere direttamente alcune delle situazioni di cui avevo precedentemente solo letto o visto in TV e su internet, la grande sofferenza quotidiana dei Palestinesi: non sapere mai, appena alzati, come sarà la giornata, se potranno andare a scuola, al lavoro o a coltivare il proprio campo.
«Dipenderà dai chek­point israeliani, se i valichi saranno aperti o chiusi e per quante ore. Se i soldati israeliani mi faranno passare e poi mi consentiranno di rientrare nella mia città e nella mia casa» e ancora «cosa deciderà di fare di me il soldato di turno?» e «una volta superato un chek point, cosa potrà succedere al successivo?»
I palestinesi vivono nell’incertezza di sapere se potranno andare a visitare i loro familiari e i loro amici, se potranno partecipare al matrimonio dei loro cari, o se potranno visitare i loro morti.

L’acqua è fortemente razionata o non c’è proprio. Numerose sorgenti e pozzi sono stati sequestrati o sottratti, facendoci passare intorno il famigerato muro, e poi utilizzati per le colonie ebraiche.
In alcune famiglie padre o figli maschi non possono vivere con gli altri familiari, nella propria casa, perché sono stati minacciati, durante precedenti violente incursioni notturne, di arresto e prigione amministrativa. Questa può essere eseguita senza alcun capo di imputazione e l’arrestato viene spesso sottoposto a totale isolamento ed a maltrattamenti e violenze, senza che i familiari possano sapere dove è stato portato, per quanto tempo e con quale capo di imputazione.
Questo trattamento viene riservato talvolta anche a ragazzini e bambini sotto i 12 anni.

Durante il mio breve viaggio di 10 giorni in Cisgiordania, ho visto infliggere, diverse volte, da parte di giovani soldatini israeliani, maltrattamenti fisici e psicologici a donne, bambini, ragazzi o adulti palestinesi e che subiscono queste gravi umiliazioni senza alcuna motivazione o colpa se non quella di essere Palestinesi.

Mi chiedo: se io per aver solo assistito casualmente a tali fatti ho provato rabbia, astio e voglia di rivalsa, cosa potrà provare chi subisce quotidianamente tali soprusi o li vede infliggere ad un proprio caro? Cosa potranno provare familiari, amici o semplici concittadini di tre ragazzi uccisi da soldati israeliani solo per non essersi fermati ad un posto di blocco? Io stessa ho partecipato al funerale di uno di loro a Betlehemme; c’era una enorme quantità di persone che partecipava in maniera emotivamente molto forte.

Per quanto riguarda ciò che sta accadendo in questi giorni in Palestina e in particolare a Gaza voglio citare una recentissima dichiarazione radio di Moni Ovadia: «bisogna ricordare­ che la Palestina è sotto occupazione da 50 anni e ora, con le due uniche uscite da Gaza blindate, i Palestinesi sono sotto assedio e quindi in pratica è stata già dichiarata la guerra».

Gaza è costantemente sotto assedio, sottoposta a continue azioni di guerra, a bombardamenti e omicidi mirati da parte israeliana. Nel 2013 sono state ammazzate più di 33 persone, nel 2014 sono già oltre 120 e numerosi sono i feriti; gran parte sono civili inermi.

Tra gli edifici colpiti in quanto ‘covo di terroristi’ ci sono scuole e asili!

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