TESTE GIUSTE, PIEDE SBAGLIATO (i miei candidati per le elezioni regionali)

questa cosa è difficile da scrivere perché se non la scrivi sei uno che non dice le cose, e se invece la scrivi sei uno che le cose le peggiori; in realtà io ho già riportato la mia personale preoccupazione qualche decina giorni fa, prima delle cateratte, sulla base di una persuasione oggi ancor più fondata (“se avete la testa giusta, perchè partite col piede sbagliato?”, data 25 settembre); ma non ci torno sopra col piacere di intorbidire, tipico dei bambini e della sinistra, bensì per vedere se può essere possibile
consentire a me di votare, e a tanti altri di rimettersi ai remi con me;
il diritto di voto sembra facile, ma si divide già per definizione in due tipologie, il ‘diritto attivo’ e il ‘diritto passivo’; io sono titolare di diritto attivo, nel senso che la scheda e la matita le ho in mano io; i candidati sono invece titolari di diritto passivo, nel senso che stanno lì a dimostrare a me chi tra essi è la più bella statuina; qui insorge una complicazione ulteriore, la quale consiste nel fatto che non è possibile che ogni statuina concorra da sola, in quanto virtualmente bisogna proporsi come squadra di governo, ed è così che mentre io sono solo con la mia matita di elettore attivo quelli sono associati col loro progetto come schieramenti politici;
a questo punto io, che resto comunque quello con la matita, sono indotto a interpretare la genesi, le dichiarazioni e le condotte degli schieramenti schierati di fronte a me, al fine di superare tre successivi valli di diana: il primo, se vale la pena andare a votare; il secondo, se uno schieramento mi è consono più degli altri; il terzo, se oltre la mia matita intendo coinvolgere per quello schieramento anche altre matite;
temo che le vicine elezioni regionali della sardegna siano caricate di tre condizioni improbe; sono importanti per la sardegna, sono orientative per le successive elezioni europee, sono disperate per la situazione politica generale;
lo schieramento per il quale opterei per andare a votare (1), impegnerei la mia matita (2), coinvolgerei anche altre matite (3), dovrebbe poter raggiungere almeno il 5 per cento dei votanti, cioè in sardegna una soglia di 50.000 voti; vuol dire che se mille come me riescono a fare 50 voti ciascuno, oppure cinquemila come me dieci voti ciascuno, possiamo avere una voce nella cupola delle istituzioni; è proprio una cosa facile, ma purtroppo riusciamo sempre a renderla impossibile;
la mia opinione è che tutti quelli che io stimo politicamente qui in quest’isola hanno una testa talmente giusta che non esiterei un istante a giurare su ciascuno di loro, ma purtroppo quando c’è da partire si complicano invariabilmente la partenza finendo per legarsi le gambe a vicenda o a vicenda per inciamparsi; essi affrontano la loro condizione di elettorato “passivo”, quello delle statuine schierate il cui interesse è convincere, con la mania sostitutiva sull’elettorato “attivo”, quello che invece ha la matita in mano; essi sono mossi invariabilmente dall’illusione di padroneggiare ambedue i campi e che le matite possano muoversi in modo moltiplicato anche solo in grazia del fatto che loro hanno scritto in anticipo la partitura e il copione;
questo gioco illusionistico in verità vale sempre per gli schieramenti che interpretano le tendenze di grandi masse, ma non valgono mai (‘mai’) per gli schieramenti delle minoranze; quando si tratta degli schieramenti delle minoranze, infatti, questa illusione si infrange inevitabilmente sulla realtà elementare in forza della quale io, l’elettore “attivo” che ha la titolarità della matita, in primo luogo mi trovo esautorato dalla missione di moltiplicare le matite (3), in secondo luogo limiterei alla mattina canonica l’assolvimento del dovere elettorale (2), in terzo luogo mi porrei la triste domanda se davvero ci sia uno schieramento che meriti che io vada là quella mattina (1);
la prova del nove per l’affidabilità di uno schieramento che meriti che io vada là quella mattina (1), che catturi la convinzione della mia matita (2), e che mi impegni a catturare altre matite (3) sta nella capacità di unire forze sull’obiettivo reale (il maledetto 5%) col requisito che tutte queste forze, costituite da soggetti singoli o collettivi (ripeto: singoli o collettivi) non contraddicano principi politici di base (nel nostro caso l’antirazzismo, l’antiimperialismo e l’anticolonialismo); se uno schieramento non sfida questa prova del nove, il problema permane: significa partire col piombo ai piedi, mentre invece potremmo disporre di ali;
talvolta l’obiettivo reale può non essere quello di superare la soglia del cosiddetto sbarramento (cioè avere degli eletti) ma più modestamente quello di sfruttare il palcoscenico elettorale per disporre di una utile ”visibilità”: ciò è necessario ed è giustificato quando si tratta di statuine ultraminoritarie, ma non quando si tratta di minoranze caricate di un vero fardello sulle spalle, il fardello che poi è tutto il nostro tesoro;
ora non scrivo questo per intorbidire o per scoraggiare, anzi mi muove un intendimento assolutamente opposto: vorrei che si tentasse un passo indietro per provare a correggere la partenza; il problema non è il candidato presidente o il progetto della rivoluzione, il problema è la creazione di una coralità che smuova mille persone col fine di fare cinquantamila voti; obiettare che la casa era aperta e che ora il tempo è quasi scaduto e di più non si poteva fare non serve ad altro che a mettere in chiaro che tutto il tempo trascorso lo si è speso, rispetto a questa esigenza, in un modo che visto da fuori appare fino ad oggi inefficace.

Gian Luigi Deiana

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