Documento sindacale oggetto di querela: assolta con formula piena e la sentenza si pronuncia a favore della libertà di parola !

E’ stata depositata la sentenza (n. 742/2014 del 17/12/2014 deposit. il 16.04/2015) del Giudice di pace di Cagliari, che motiva l’assoluzione con formula piena della scrivente Maria (o Mariella) Setzu dall’accusa intentatale da un collega già RSU della GCIL  per via di un comunicato affisso in bacheca e da lei firmato.

Il contenuto denunciava come antisindacale l’operato dell’allora dirigente scolastico, poiché il 22 Novembre 2011 era intervenuto in assemblea sindacale dichiarandola sciolta e dissuadendo il personale dall’entrare in agitazione.

Il documento denunciava anche la condotta delle due RSU (CISL e CGIL) che, contrariamente alla scrivente, erano rimaste mute e acquiescenti davanti all’intervento del dirigente anche se un attimo prima sembravano favorevoli ad indire l’agitazione.

In seguito a questa comunicazione, doverosa da parte della sottoscritta come componente dell’RSU per informare il personale e rendere chiara la propria posizione anche per chi non aveva preso parte all’assemblea, la sottoscritta subiva l’accusa di diffamazione da parte di uno dei colleghi RSU chiamati in causa.

In seguito all’assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”, la sentenza offre come motivazioni che “le dichiarazioni della Setzu  sono tutte riconducibili ad un legittimo esercizio di critica sindacale […]

“L’esercizio del diritto al dissenso in un’assemblea di democrazia rappresentativa non può essere considerato fatto ingiusto, perché nella dialettica politico-sindacale il “fastidio” creato dalla critica è un prezzo che in democrazia va pagato per intero; pertanto in questa ottica una comunicazione sindacale nella quale un fatto viene ritenuto “antisindacale” non può essere ritenuto un fatto ingiusto, penalmente rilevante.  

Il diritto di manifestare il proprio pensiero trova infatti il suo compiuto riconoscimento nello Stato liberale e non solo rientra tra i diritti fondamentali della nostra Carta Costituzionale ed è ad esso tanto connaturato da divenirne il simbolo e anche sul piano internazionale la concreta possibilità  delle diverse idee di esprimersi, diviene un indice fondamentale per misurare il grado di democraticità di un sistema politico (cfr. l’art.10 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 4.11.1950).

Con riguardo al diritto di critica, ed in particolare a quella sindacale, derivante dai più ampi diritti di libertà sindacale e manifestazione del pensiero ex art. 21 e 39 Cost. la giurisprudenza è costantemente concorde ad ammettere la possibilità di esprimersi con toni e modi di disapprovazione e riprovazione anche particolarmente aspri. […]

“appurato dunque che i documenti asseritamente diffamatori costituiscono legittima espressione del diritto di critica deve riconoscersi che le dichiarazioni del ***  e la querela presentata nei confronti della odierna imputata, ha tutti i caratteri della temerarietà o della palese arbitrarietà.

Infatti ad avviso di questo giudice, le dichiarazioni di  ***  sono sorrette unicamente da un deliberato e specifico intento di danneggiare la querelata, o, comunque sono tali da reputarsi gravemente imprudenti, talché deve riconoscersi che la valutazione che il querelante ha fatto della querelata è gravemente colposa  […]  Pertanto il querelante viene condannato al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno, e soprattutto è affermato il legittimo esercizio di critica sindacale e il diritto di manifestare il proprio pensiero, e, aggiungerei, senza alcuna discriminazione di  sigla sindacale.

 

Mariella  Setzu, RSU Cobas

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